Detenuto ma ancora genitore con quel “ma” che nega affetti e amore 

News

Che cosa ci turba di più rispetto al carcere? La carcerite, di cui spesso soffrono le persone che hanno trascorso tanto tempo in cella e che quando escono si sentono sempre fuori contesto, fuori tema, fuori tempo? Oppure ci preoccupa l’indifferenza nella quale piombano, anzi, piombiamo tutti davanti a storie difficili di vite sciupate che annaspano e faticano a venirne fuori forse proprio per l’incapacità di trovare quel fuori che si riempia di possibilità, di sogni, di prospettive? Non siamo pronti ad accettare quella parte molesta, un po’ buia e irrisolta, asfittica e pericolosa che il carcere ci rammenta, e non lo siamo perché ci appartiene. Quel luogo fisico, spesso lontano dal centro, ai margini delle nostre città e delle nostre coscienze. Un male presente, un cono d’ombra che vogliamo occultare, tanto basta restarne fuori, volgere lo sguardo altrove, come se ciò bastasse… Così come non siamo pronti ad entrare in un Circondariale e a trovare un bambino di forse neanche 3 anni per mano ad una gentile agente che quando ti incrocia ti guarda e ti dice “salve”, in un linguaggio e con un tono di chi ha perso l’infanzia alla nascita e che nel perimetro dei muri, delle grate delle celle, nel rumore metallico di porte che si aprono e si chiudono, nelle chiome degli alberi o di fazzoletti di cielo che si intercettano dalla finestra, intanto cresce. Ultimamente abbiamo letto nella nostra trasmissione “Liberi dentro Eduradio&Tv” una lettera pubblicata su Bandiera gialla di Luca Zindato dal titolo molto esplicativo “detenuto ma genitore” con quel ma avversativo che sottende un intero mondo mancato fatto di ascolto, carezze, gioco, doveri e diritti che nella relazione parentale tra liberi sono scontati, magari non sempre esercitati nel modo opportuno, ma pur sempre attuabili. Il genitore detenuto scrive: “Mantenere un legame affettivo forte tra genitori e figli, nonostante la detenzione, è fondamentale. Il contatto regolare, che può avvenire attraverso visite, lettere, telefonate e, ove possibile, tramite tecnologie digitali, aiuta a preservare un senso di normalità e continuità nelle vite dei bambini. Queste interazioni contribuiscono a rafforzare l’identità familiare, offrendo supporto emotivo ai bambini e incentivando nei genitori un senso di responsabilità e motivazione al cambiamento”. Ecco, tutto qui. Il Covid, paradossalmente, aveva dato una mano a migliorare la comunicazione: più chiamate e, addirittura, videochiamate. Alcuni ci hanno raccontato di aver rivisto, magari dopo anni, la propria casa, il quartiere che intanto si è trasformato facendo riprendere la strada dalla finestra, i propri parenti tutti riuniti per l’occasione. Ma poi, in molti istituti, questa modalità è stata sospesa, si è ritornati al prepandemia. E con una telefonata di dieci minuti a settimana, qualche visita della famiglia che abita a chilometri di distanza e che si deve accontentare di quelle poche ore di presenza, e mettiamoci pure le corrispondenze lente ma fitte, pensiamo di poter restituire a quel bambino la dimensione affettivo-relazionale che gli spetta di diritto? Per anni si è parlato di qualità delle relazioni a scapito della quantità: se i genitori lavorano la cosa importante è la qualità del rapporto con i figli; se il tempo è poco, l’importante è saper esercitare la propria genitorialità attraverso la cura e l’attenzione; ma chi ha un genitore in carcere? L’articolo 9 della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia recita: “il bambino i cui genitori, o uno dei due, si trovano in stato di detenzione, deve poter mantenere con loro dei contatti appropriati”, ma intanto mancano spazi adeguati alla condivisione del tempo con i bambini, quei luoghi in cui, artificiosamente, si prova a ricreare uno spazio dedicato al bene corrisposto nel quale provare a ri-conoscersi e a trovare quella piccola area di felicità che prende vita quando si è insieme, lo spazio di gioco che tanto manca ai bambini (e anche ai genitori, in verità). E mancano i piccoli gesti quotidiani: cambiare i pannolini, preparare i pasti, lavarli quando sono ancora piccoli. Aiutarli nei compiti, consolarli nelle delusioni, spronarli a sbocciare e ad affrontare il mondo. Con un genitore ristretto è da veri impavidi percorrere le difficili tappe dell’infanzia e dell’adolescenza, carichi di un fardello che ha a che fare con la colpa, non propria ma in ogni modo percepita come presente, e con la mancanza, talvolta rabbiosa, della persona amata. Secondo le stime in UE ci sono 800.000 bambini con un genitore detenuto che affrontano lo stigma, l’insicurezza spesso anche economica, la destabilizzazione e la solitudine. Ci chiediamo i bambini e in generale le famiglie che colpa debbano espiare in questa società liquida, e quindi estremamente mutevole, che viaggia a velocità diverse, che si trasforma con una rapidità incredibile che le persone detenute neanche possono immaginare. Non c’è solo il fisiologico scarto generazionale ma anche il “non luogo” e il “non tempo” del carcere, che scolla e allontana, rendendo incomprensibile la trasformazione che inevitabilmente la vita comporta, sia che si viva dentro, sia che si viva fuori.

Antonella Cortese, Coordinatrice del progetto Liberi Dentro Eduradio-Tv