
Parlami dentro è la “chiamata alle parole” promossa da Fondazione Vincenzo Casillo e Liberi dentro – Eduradio&TV, che invitano cittadini e cittadine a scrivere lettere ai detenuti entro l’11 dicembre. Un modo per creare connessioni, per mettere in circolo narrativa di resistenza e far sentire un po’ meno sole le persone in carcere.
Lettera di Denise e Rebecca
1 dicembre 2022
Sono felice di scriverti.
Mi chiamo Denise e ho 28 anni. Sono la mamma di Rebecca, una piccola di 3 anni e viviamo in una piccola casetta nelle campagne di Cavagliá.
Sono emozionata al pensiero che tu stia leggendo la mia lettera, come stai? Fuori c’è un sole fantastico e oggi è stata per me una giornata molto produttiva. Ho finalmente trovato il coraggio di iniziare dei progetti che mi stavano a cuore e ho avuto dei responsi positivi, e tutto questo è davvero importante per me, ed è forse per questo che ho tanta voglia di regalarti un piccolo frammento di me.
Chiunque tu sia, sappi che sei speciale e ci sono tante persone che anche se non ti conoscono, sono qua che ti scrivono con tanto affetto. L’amore che provo per la vita e per le persone sono il mio mezzo più forte di condivisione, e tutto ciò che sono è questo. Una persona che prova tanto amore e tanta gioia per il prossimo. Ti auguro questo. Spero che il mio affetto possa arrivarti come un forte abbraccio.
Fuori il sole è caldo, le foglie cadono e sentire il profumo della legna arsa nel camino mi ricorda quanto sia semplice godersi questa vita.
La mia bambina ti saluta con la manina, agitandola fortissimo, come solo i bambini sanno fare.
Io invece ti mando questa lettera e la promessa di un pensiero rivolto a te quotidiano.
A presto.
Denise e Rebecca
Lettera di Rosalba
2 dicembre 2022
Ciao,
in questo periodo più che mai mi accorgo di sentirmi sola, come se nessuno fosse in grado di comprendermi, come se tutti parlassero lingue diverse dalla mia. E se prima mi sforzavo e cercavo di adattarmi a loro, ora non mi va più. Per un po’ voglio parlare la mia lingua.
E ti dico anche che non mi accorgo solo di sentirmi sola, mi accorgo anche che ho bisogno di stare da sola. Mi sono presa una pausa dalla gente. Perché c’è sempre qualcuno che mi precede in qualcosa, c’è sempre qualcuno che ci riesce prima di me.
Mi chiedo come sia possibile che per quanto io voglia qualcosa non riesca mai a raggiungerla.
In preda alla mia ennesima crisi esistenziale dell’anno ho eliminato tutto quello che non sentivo più mio dai social. Tutte le mie foto, soprattutto quelle che ritraevano me.
Le persone che mi incuriosiscono non hanno quasi mai un volto, ma hanno una playlist, un quadro preferito, un lavoro, delle parole, un modo di gesticolare, un profumo, una pelle, dei nei delicati, un segno particolare, delle mani, ma quasi mai un volto. Non credo che l’aspetto esteriore sia da sottovalutare, ma piuttosto ho raggiunto la consapevolezza che sia relativo. E questa ne è la dimostrazione più concreta. Ti scrivo per il gusto di farlo anche se non riesco ad identificarti in un volto.
C’è una scena nella tua testa che potrebbe essere il disegno perfetto del tuo concetto d’amore? Io ne ho una. E la sogno spesso.
Una me sudata, distesa su di un prato enorme con un ragazzo al mio fianco. Muti. Vorrei essere con qualcuno e sentirmi a mio agio stando in silenzio. Vorrei sentirmi libera di essere in silenzio e di sentirmi bene. Ecco è questa la libertà che vorrei.
Purtroppo però c’è sempre qualcuno che pretende qualcosa da me, che sia l’educazione, che sia la gentilezza, che sia la risposta pronta come se fossi un’enciclopedia umana. Sono ancora alla ricerca di chi sono, di chi vorrei essere, di cosa vorrei fare e di dove vorrei farlo, ed ho capito che sono immobilizzata da tante paure, convivo con così tante paure che mi ci sono abituata.
Ho paura del mare, ho paura della perdita e di non saperla gestire (quella dei miei familiari), ho paura della velocità, ho paura dei cani randagi, di passeggiare con il buio per strada.
Cosa sto utilizzando per guarire? Le parole. Scrivo, scrivo e scrivo perché secondo me le parole possono salvare e quasi sicuramente ci salveranno.
Rosalba
Lettera di Mirella
3 dicembre 2022
Ciao, sono Mirella.
Sono qui per farmi guardare da te e quando lo farai mi sentirò gli occhi addosso: occhi attenti a superare la mancanza, a varcare il limite del possibile. Ci incontreremo per osmosi emotiva. Le parole fanno incontrare anime che sono su sentieri diversi, anche lontani. Quelle scritte, ancor più, lasciano tracce. Come orme nelle pietre, esse ci orientano nell’oceano della vita.
Amo la fotografia e la scrittura: due modi per lasciare una traccia del proprio passaggio sul mondo.
Nella lettera ti racconto i colori del mio sentire durante una passeggiata in solitaria nelle prime ore del mattino. Ritengo la solitudine un bel modo per nobilitare le nostre risorse più profonde. Se stiamo bene da soli saremo tanto più in grado di offrire accoglienza e amore. Le fotografie raccontano visivamente quello che andrò raccontandoti.
È un abbraccio il mio. Un abbraccio che si potrà ripetere ogni volta che avrai voglia di rileggermi.
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4 novembre 2022
In principio, il buio. La città dorme ancora.
Dapprima è l’aurora ad illuminare il nero con i viraggi bluastri dello spettro luminoso.
Poi, eccola la stella madre del sistema solare, con i suoi raggi già inclementi alle prime ore del mattino.
Ed è alba. L’alba di un nuovo giorno, una nuova promessa, una perenne scommessa per l’immediato futuro.
La sveglia è naturale, senza suoneria. Sento un peso felino sul mio petto mentre l’agglomerato vivo di peli biondo-striato mi passeggia addosso ad annunciare il nuovo giorno.
La decisione è di un attimo. Assecondo il mio ritmo circadiano ed assumo la posizione verticale, pronta, dopo il rito della colazione, ad uscire di casa con i piedi ben piazzati sui nuovi plantari inseriti nelle mie Brooks azzurre.
Una brezza fresca mi accoglie sull’uscio, al cospetto di Palazzo Ducale, testimone di antichi fasti ed attuali dismissioni. Piazza Duomo la si può percepire nella sua dimensione reale. Il silenzio delle navate interne della Cattedrale trasuda all’esterno e si diffonde, senza il disturbo del chiasso.
La città dorme ancora. Son desti coloro che preparano viveri e servizi per chi solo più tardi farà mostra di sè per le strade non più deserte.
C’è del sacro in questo vagare. Passi veloci e fluidi conducono il corpo in percorsi non prefigurati. Seguendo i suggerimenti del cuore sfioro la mia prima dimora disabitata da un millennio. A guidarmi in questo reticolo è la volontà di evitare i suoni molesti e gli sgradevoli effluvi delle prime automobili che già sbadigliano gas di scarico.
Dal centro alla periferia vago sulle bisettrici della mia storia.
Ad accompagnarmi è la mia stessa ombra che punta a ovest. Il sole è basso ed essa è lunga, attraversa la strada prima di me o resta al mio fianco arrampicandosi su di un muro. La sua origine mi ricorda dov’è l’Oriente. Continuo a girare a cercare l’ombra, oltre le strade ancora all’ombra.
Vedo una città cresciuta spontaneamente, non pensata. Nelle sue maglie lievitano i miei pensieri mentre la fronte comincia ad imperlarsi di leggero sudore.
Ora la mia ombra per le strade della città è più breve ed il suono dei pensieri compete già con quello della vita quotidiana.
Ottomila passi sono la misura del tempo trascorso tra la sveglia ed il luogo di lavoro.
Un’altra alba mi attende. Ed è subito sera.
Mirella
Lettera di Davide
4 dicembre 2022
Caro uomo senza libertà,
ti scrivo per raccontarti un paio di momenti della mia vita che riguardano la tua condizione.
Trent’anni fa entrai in un carcere italiano insieme al poeta Cheyenne Lance Henson. Eravamo a Brescia e io oltre che amico di Lance, ero il suo traduttore. L’incontro con quei carcerati, che spero siano uomini liberi oggi, era dedicato al racconto dell’esperienza di un nativo americano nella società contemporanea americana. Una minoranza etnica, che fino a tre secoli fa era la popolazione che quelle terre occupava da millenni.
Ricordo poche cose di quel giorno, ma soprattutto la sensazione che chi era chiuso in carcere a Brescia si sentisse come il popolo Cheyenne rappresentato dal poeta e amico Henson.
La seconda esperienza l’ho fatta a Firenze, con alcuni detenuti, per parlare di un libro di Jack London, “Il vagabondo delle stelle” (del 1915), durante un convegno di promozione della letteratura all’interno delle carceri. Oltre che scrittore, sono anche traduttore e quel libro di London è tra i miei preferiti. Ti consiglio di leggerlo. E’ duro, credo difficile per chi è detenuto. Ma te lo consiglio con tutto il cuore.
Che esperienza strana parlare di un romanzo nel quale il protagonista viene sbattuto in isolamento per periodi lunghissimi e che a causa di un cavillo burocratico viene condannato a morte per impiccagione. Se te lo scrivo è perché quando sento parlare di carceri mi si stringe il cuore.
L’ipocrisia del sistema degrada le persone che hanno sbagliato, ma qui fuori, noi altri sessanta milioni di italiani facciamo quasi tutti finta di niente.
Però voglio tornare a quei due eventi che mi hanno visto a contatto diretto con il mondo dei detenuti.
Ricordo che a Firenze mi intrattenni a parlare con due ergastolani. Si diceva una volta, “fine pena mai”. Che ipocrisia.
Sai, quando mi trovai di fronte a quei carcerati, a Brescia e poi quelli che ebbero il permesso di uscire per partecipare all’incontro di Firenze, pensai che gran parte di loro prima o dopo avrebbe ritrovato la libertà. Mi vergogno quasi a dirtelo, ma in qualche modo quel pensiero diventava una specie di consolazione. Tutto passa. Tutto scorre. Peccato che subito dopo pensai: “tornare liberi ma a quali condizioni?”. Essere davanti a persone in una condizione di assenza di libertà, a pochi centimetri da loro, dialogare, anche sorridere magari, è tutto molto particolare – per noi che stiamo “di qua”, ma per voi? Questa domanda non ha mai avuto risposte.
Io vivo in montagna, ma sono nato in una cittadina lombarda, Monza. Non mi piaceva il caos e volevo dedicarmi agli spazi aperti.
Per me la libertà è camminare la Terra senza barriere, incontrando persone, dedicandomi alle emozioni suscitate dalla geografia che mi permetteva di uscire da me stesso e di “entrare” nel territorio.
Sono stato fortunato a nascere in una famiglia che mi ha dato la possibilità di sperimentare e poi riuscire nel mio intento di fare ciò che desideravo fare da ragazzo: viaggiare, scrivere, incontrare persone, camminare con loro, trasmettere emozioni, provocare pensieri e chissà, anche azioni. Stare attenti a cosa facciamo alla nostra casa comune, la Terra.
E quando ho visto uomini che, come te, devono vivere in pochi metri quadrati, respirare in pochi metri quadrati, sognare in pochi metri quadrati, mangiare in pochi metri quadrati, tenere il corpo vivo in pochi metri quadrati, tenere lo spirito vivo in pochi metri quadrati, emozionarsi in pochi metri quadrati, ho sempre pensato “Ma io riuscirei a sopravvivere, così?”.
Per darmi forza, immaginando questa condizione, ho sempre pensato che il dolore più grande non sarebbe solo quello di essere allontanato dalle persone che amo, ma allo stesso modo anche dalla Terra. Dal suo respiro, che è anche il nostro. Dal poter camminare libero nel mondo per riconoscere il legame che ci connette tutti, esseri umani e tutto il resto su questo Pianeta e oltre, fino alle stelle e alle galassie dell’universo.
Mi piacerebbe pensare che la persona detenuta in un carcere italiano possa essere messa in contatto con il respiro più grande, quello della Madre Terra. Non so se questa frase ti farà incazzare, ma so che questo mondo, ricco di cose bellissime, andrebbe meglio se noi esseri umani ritrovassimo l’abbraccio con la Terra e se lo facessimo imparando a includere chi ha fatto scelte diverse, a volte scellerate, figlie di diverse ragioni che non tocca a me elencare né giudicare. Persone che se devono scontare una pena, non devono essere private del respiro della Vita, della Terra e del Cielo.
Generalmente, nessuno di chi commette grandi crimini contro la Terra viene chiuso dietro le sbarre. E questo deve dirci molto su che società siamo.
Non so cosa tu abbia fatto e sinceramente non mi interessa. Ma so che se tu e gli altri poteste uscire e farvi una camminata ogni giorno nella natura, piano piano quella carezza inizierebbe a farsi sentire e probabilmente tante angosce verrebbero ridimensionate, sebbene i vostri problemi oggettivi, una volta fuori, rimarranno notevoli e bisognosi di aiuto da parte della società di cui siamo tutti parte.
Nulla è come respirare, percepire, pensare, ragionare, parlare, se si è “dentro” il respiro del mondo.
Mi piacerebbe sapere se queste parole ti hanno incuriosito o, al contrario, annoiato. Se ti sembrano assurde. Se invece, come spero, hanno toccato quei fili nascosti che sono il tuo legame con la vita, con l’idea di nuove possibilità nel “dopo” che ti attende.
Non so dove tu sia nato, o cresciuto. So però che se potessi, per un giorno, portarti a fare un’escursione tra boschi e fiumi, colline e orizzonti, qualcosa dentro di te forse succederebbe. E invece di vedere i confini, potresti sentire che anche tu hai dei sogni, che anche tu coi tuoi talenti, potresti incamminarti verso altri orizzonti. Che i tuoi sogni valgono quanto i miei e quelli di chiunque altro.
Davide Sapienza
Poesia di Grutt
5 dicembre 2022
Ciao.
Ho scelto per te una poesia di Valerio Grutt.
Tu conosci la lingua della luce
e quando ridi riporti a casa il vento
il tuo cuore è una selva, un santuario
dove dormono gli uccelli
sei qui di passaggio come i pellegrini
i motociclisti, le rondini
giochi con il respiro degli alberi
mentre la tua anima da millenni
scolpisce di nascosto le stelle
che appaiono di notte
sulla testa degli uomini
Lettera di Amalia
6 dicembre 2022
Carissimo fratello,
colgo questa bella occasione per scriverti e per dirti di non sentirti solo, anche se è più facile a dirsi da fuori.
Ciao mi chiamo suor Amalia vivo vicino Bologna.
Sono in una comunità composta da 3 consorelle. Stiamo molto bene insieme , il Signore Gesù mi ha dato delle consorelle fantastiche. Stiamo insieme da un po’ di tempo e ti confesso che la mia vita con loro è migliorata tanto. Essere amati è il motore del nostro vivere.
Quando sono stata malata a causa di un tumore all’intestino, operata 4 volte, mi sono state vicine come avrebbe fatto una madre per la propria figlia. Adesso sto bene e sono guarita.
Lavoro in ospedale, faccio l’infermiera. Presto il mio servizio presso Area Vaccinale Pediatrica, lavoro con i bimbi.
La nostra giornata inizia alle 6.30 con la recita delle lodi, poi andiamo al lavoro.
Nel pomeriggio quando rientriamo a casa dal lavoro oppure dall’attività pastorale stiamo insieme ci raccontiamo come abbiamo vissuto la giornata. A volte più gioiosa a volte un po’ meno.
Alle 18 diciamo il rosario, un po’ di preghiera e poi cena, sistemiamo la cucina, ascoltiamo un po’ di notizie quasi sempre molto tristi e poi a nanna. Il giorno dopo si riparte.
Come comunità ci siamo date l’obiettivo di aiutare le famiglie in difficoltà e credimi sono tante….I nostri politici quando si siedono su quelle poltrone di colore rosso al popolo non ci pensano più.
Io seguo il carcere e conosco le difficoltà che avete, perché quando posso ascolto Radio Radicale dove c’è un programma che si chiama” Radio Carcere”. Ascoltando la radio con le vostre testimonianze vengo a conoscenza delle grandi problematiche che si vive in carcere. Capisco la tua solitudine e la fatica di ogni giorno…Vi sono vicina con il cuore e vi mando un forte abbraccio con affetto.
Ti voglio salutare con questa preghiera che a volte la dedico a me stessa.
“Questa notte ho fatto un sogno, ho sognato che ho camminato sulla sabbia accompagnato dal Signore e sullo schermo della notte erano proiettati tutti i giorni della mia vita. Ho guardato indietro e ho visto che ad ogni giorno della mia vita, apparivano due orme sulla sabbia : una mia e una del Signore. Così sono andato avanti, finchè tutti i miei giorni si esaurirono. Allora mi fermai guardando indietro, notando che in certi punti c’era solo un’orma….
Questi posti coincidevano con i giorni più difficili della mia vita; i giorni di maggior angustia, di maggiore paura e di maggior dolore.
Ho domandato, allora: “ Signore, Tu avevi detto che saresti stato con me in tutti i giorni della mia vita, ed io ho accettato di vivere con te, perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti più difficili?”.
Ed il Signore rispose: “ Figlio o figlia mia, io ti amo e ti dissi che sarei stato con te e che non ti avrei lasciato solo neppure per un attimo: i giorni in cui tu hai visto solo un’orma sulla sabbia, sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio”.
Kahlil Gibran
Ti saluto e auguro a te e ai tuoi compagni di cella un Santo Natale.
Con affetto suor Amalia
Lettera di Pasquale
7 dicembre 2022
Caro amico ti scrivo.
Una lettera comincia così, come nella canzone di Lucio Dalla. Solo che le lettere non le scrive più nessuno. Dunque nessuno si rivolge più ad un amico con queste parole.
Forse però c’è un posto dove si continuano a scrivere lettere. Credo anche a mano addirittura.
È un luogo nel quale il tempo è sospeso. A volte è troppo lungo, altre volte brevissimo: il carcere. È un luogo terribile. Eppure, per assurdo, senza volerlo, è finito per essere la riserva protetta delle lettere, che nessuno scrive più.
Ecco che, per uno scarto, dovuto unicamente alla nostra residua umanità, un girone infernale può diventare prezioso come una biblioteca. Un perimetro di punizione può essere sentito, almeno per un attimo, come un giardino di cura.
Caro amico ti scrivo. Perché vorrei adottarti. Come si adottano i bambini. Per adottare anche la tua pena. Portarmela per un po’, per quello che posso, senza essere retorico.
Ogni uomo e ogni donna libera dovrebbero adottare un carcerato o una carcerata. Non sarebbe un gesto di solidarietà, ma di consapevolezza.
Solo chi è davvero libero può veramente comprendere chi libero non lo è più.
Ecco, amico mio sconosciuto, ti ho spiegato perché ti scrivo.
Vorrei adottarti come si adotta un bambino. Perché tutti siamo stati bambini e per questo tutti saremmo potuti diventare ladroni.
Tuo, per quello che posso.
Pasquale
Lettera di Viviane
8 dicembre 2022
Caro amico,
sto cercando parole da dirti / da darti. Eppure, mi sento inadeguata a farlo e non so da dove cominciare, perché chi non è stato mai chiuso nelle quattro mura di una prigione non sa che cosa si prova a vivere in uno spazio ristretto, senza la famiglia, senza le amicizie e con l’angoscia del domani sempre uguale a oggi.
Ricordo che molti, durante il covid “duro”, dicevano che stare chiusi in casa era come essere in galera. Io sono convinta che non sia mai stato vero. Le mura di casa tua non saranno mai come le mura di un carcere. In casa tua, lo spazio è limitato ma tutto ti è familiare: puoi andare in ogni armadio e trovare le tue cose, puoi accenderti la radio quando vuoi, la televisione quando vuoi, telefonare a chi vuoi, e tante cose che in un luogo estraneo non puoi neppure immaginare.
Posso solo dirti che le parole bellezza, gioia, libertà, amore, condivisione, le porto con me anche nei momenti bui, quelli in cui hai voglia di lasciarti andare perché non credi più alla salvezza, perché sei stato deluso dalle persone più care, perché ti senti bacato nella mente.
Ho vissuto questo, ho persino sperimentato quel tipo di malattia che sembrava l’anticamera dell’inferno. Ma quelle parole accennate prima, le ho sempre portate con me e ora vorrei regalartele insieme a questa mia poesia, come augurio.
La poesia è molto breve e s’intitola: “Il senso del fare”:
fàbbricati pure una bocca
trionfante di scirocco
che intenda soffiare
su chimere alate
ma prima pianta una quercia
perquisisci il termitaio
rosicchia gli atomi della tua ostilità
e quando poserai il piede
sulla terra promessa
sblocca le montagne.
Questi versi per dirti che anche il posto dove vivi (spero il meno a lungo possibile), può essere un luogo di trasformazione, addirittura una opportunità. Basterebbe credere nel “possibile”, ma crederci sul serio. Di cuore, mille auguri.
Ti mando anche uno scatto di mio marito Lino, a cui lui ha dato il titolo “Libertà”.
Viviane Ciampi
Lettera di Annalisa
9 dicembre 2022
Sono Annalisa, ho 49 anni e sono un’insegnante di Religione Cattolica.
Mi è stata data questa opportunità unica e ho accolto subito con gioia, con profonda commozione questo invito.
Sono qui per te con questa lettera non per insegnarti qualcosa, o per farti da maestra di vita, ma solo in funzione di “strumento”.
Madre Teresa di Calcutta diceva di se stessa: “Io sono una piccola matita nelle mani di Dio” ed è proprio ciò che voglio essere anch’io in questo momento PER TE che leggi.
Il Suo Amore di Padre è più grande di tutto e supera tutto, va oltre tutto, anche oltre i nostri errori, sbagli, peccati, cadute… E chi non ne commette? Tutti, nessuno escluso.
Papa Francesco, avendovi tanto a cuore, si è chiesto: “Perché loro e non io? Merito più io di loro che stanno lì dentro? E’ un mistero che mi avvicina a loro” .
Anch’io mi sento vicino a te, non sono indifferente al tuo dolore, alla tua stanchezza fisica e mentale che ti opprime, ti soffoca e sembra spegnere in te la voglia di vivere.
Prendo nel mio cuore il tuo sfinimento e ti stringo forte.
E se hai provato o provi dentro di te quell’amara, tremenda, terribile sensazione (che ho provato e provo anch’io) di sentirti uno scarto per la società e nella società, un rifiuto gettato via come qualcosa di inutile, sappi che Gesù è venuto sulla terra per noi, PER TE.
Se tu hai provato, o senti sulla tua pelle il disprezzo di tutti, di molti, di alcuni, allora, sorella mia amatissima, fratello mio amatissimo, voglio farti dono di queste luminosissime parole, scritte da un Pastore luterano tedesco che si chiama Dietrich Bonhoeffer, morto nel Campo di concentramento di Flossenburg, in Germania, dopo aver sperimentato anch’egli la prigionia.
Eppure, quelle che scrive sono parole “natalizie”, perché fanno nascere nel cuore la gioia, la pace, fanno rifiorire nel cuore la speranza, cambiano il lamento in danza perché ti fanno sentire non solo prezioso, importante, ma SCELTO, PREDILETTO, AMATO.
DIO AMA CIO’ CHE E’ PERDUTO
(Dietrich Bonhoeffer)
Dio non si vergogna della miseria dell’uomo,
vi entra dentro,
sceglie una creatura umana come suo strumento
e compie meraviglie
lì dove uno meno se lo aspetta.
Dio è vicino alla bassezza,
ama ciò che è perduto,
ciò che non è considerato,
l’insignificante,
ciò che è emarginato,
debole e affranto.
Dove gli uomini dicono “perduto”,
lì Egli dice “salvato!”;
dove gli uomini dicono “no”,
lì Egli dice “sì!”.
Dove gli uomini distolgono
con indifferenza o altezzosamente il loro sguardo,
lì Egli posa il Suo sguardo
pieno di un amore ardente incomparabile.
Dove nella nostra vita
siamo finiti in una situazione
in cui possiamo solo vergognarci davanti a noi stessi e davanti a Dio,
dove pensiamo che anche Dio dovrebbe adesso vergognarsi di noi,
dove ci sentiamo lontani da Dio come mai nella vita,
lì Egli vuole irrompere nella nostra vita,
lì ci fa sentire il Suo approssimarsi,
affinché comprendiamo il miracolo del Suo amore,
della Sua vicinanza e della Sua grazia.
Annalisa
Lettera di Lorenzo
10 dicembre 2022
Non so bene come salutarti, ma ti darò del tu, anche se non conosco il tuo nome perché voglio che, con queste mie parole, tu possa respirare qualche momento di normalità.
Ho 15 anni, non ho mai fatto visita a qualcuno che sta in carcere e non conosco nessuno che ne abbia contatti, l’unica cosa che ho visto è dalle scene dei film, quindi non posso nemmeno lontanamente immaginare, come sia veramente la tua vita e come ti possa sentire.
Penso debba essere brutto sapere di non poter ricevere, per un tempo quasi indefinito, il calore delle persone care. Quando ci siamo ritrovati sbarrati in casa per via di quel maledetto virus, la sensazione di solitudine ha iniziato a farsi sentire dentro me solo dopo pochi giorni, era tristissimo non poter vedere più i miei amici e trascorrere del tempo insieme a loro.
Si sta avvicinando il periodo più magico dell’anno: il Natale, l’idea di dover trascorrere dei giorni così speciali senza le persone che più ami al tuo fianco, dev’essere davvero insopportabile, credimi, sei forte e coraggioso.
Sai, si parla di condanna e di condannati, ma è come se, una volta in carcere le persone vengano dimenticate, questo è quello che la società odierna trasmette.
Ecco, è con grande sorpresa invece ci è arrivata questa opportunità di poter interagire con chi non è così fortunato come noi. Ricordo quando ho guardato il film “Avatar”, dove hanno dato significato alle parole “essere visti” , per come lo vedo io.
Quando infatti i Navi (gli abitanti del pianeta Pandora) si incontrano e si salutano dicendosi reciprocamente “io ti vedo”. Frase densa di significato, che all’inizio non riesci a capire. Ti chiedi, ma cosa vogliano dire con questo “io ti vedo”, significa -io vedo te, la tua anima, il tuo dentro, i tuoi pregi, i tuoi difetti, so chi sei, so chi ho davanti, ti accetto. Ma non solo. Dire “io ti vedo”, è anche mettersi in una posizione di ascolto dell’altro. Molto lontano dal nostro distratto e convenevole: “ciao come stai?”
Tu hai visto questo film? Trovo sia molto bello e in effetti sono contento che tra un mese uscirà il seguito.
Come puoi capire il genere fantasy mi piace molto, non tanto per i suoi luoghi immaginari, mi affascina più per come i personaggi sono mossi da un obiettivo che li spinge a intraprendere un viaggio incredibile.
Questo fa di me un nerd? In effetti è probabile visto che mi piace anche tutto quello che riguarda computer, sistemi operativi, videogiochi, tant’è che prima di frequentare l’Istituto tecnico di Chimica, il primo anno, mi ero iscritto al corso Tecnico Tecnologico Informatica…poi ho cambiato idea. È capitato anche a te di iniziare un percorso e capire strada facendo che le cose potevano andare diversamente?
Devo ammettere che questa nuova strada è più impegnativa, anche se le persone sono più simili a me, però devo impegnarmi molto di più e non sempre raggiungo gli obiettivi che vorrei. Dopotutto ho solo 15 anni e se le scelte non sono mai facili, alla mia età cambia tutto così velocemente che forse potrei rimettermi in discussione ancora una volta.
Non conosco la tua storia, ma sono convinto che tu possa imparare dai tuoi stessi errori. Mi piacerebbe conoscerti, sapere se, come me, anche tu ti metti in discussione.
Spero tu possa ritornare ad avere la possibilità di coltivare nuovi e gratificanti interessi. Io cerco, quotidianamente, di portare avanti ciò che mi incuriosisce.
Vivo la mia vita di tutti i giorni con serenità e protetto ancora dai miei genitori.
La libertà è un bene impagabile che ti auguro di riconquistare.
Io ti vedo!
Ciao,
Lorenzo
Lettera di Sara
11 dicembre 2022
Ciao!
Mi chiamo Sara, ho 29 anni e di professione sono un consulente informatico.
Novembre per me è il mese più malinconico dell’anno, probabilmente complice l’abbassamento delle temperature e il sole che tramonta prima.
Ero alla ricerca di motivazione e mi sono imbattuta in un libro che si intitola:”Per dieci minuti”, scritto da Chiara Gamberale.
Il libro racconta le vicende di una donna che, dopo essere stata lasciata dal marito dopo 18 anni di matrimonio, accoglie il consiglio della sua psicoterapeuta:
Fai un gioco, per dieci minuti al giorno fai una cosa diversa che non hai mai fatto in vita tua.
Così la protagonista, inizialmente scettica, compra dei semi per una pianta, cucina i pancake, fa cucito.
Ho deciso di fare anch’io la stessa cosa, quindi eccomi qua, i 10 minuti di oggi, 10 novembre 2022, sono dedicati a te e alla tua lettera.
Ho iniziato da pochi giorni, per ora ho camminato all’indietro (fa malissimo alle gambe), ho fatto un video su tik tok con un amico, ascoltato un podcast sul fallimento di un casinò, giocato le clave (attrezzo circense) e mi sono letta la mano da sola (la linea dell’amore? Un disastro! Per fortuna è durata solo 10 minuti).
Colgo l’occasione per lasciarti un estratto del libro, è una delle parti che mi ha colpita di più, nel momento in cui la protagonista, grazie ai 10 minuti al giorno, inizia a distrarre la mente, prendere consapevolezza che al mondo si possono fare tante cose e che molto spesso abbiamo dei pensieri e dei punti di vista che si possano ampliare.
<<“…Sa, avevo scritto un racconto, qualche anno fa. Non l’ho mai pubblicato, però.”
“E?”
“Si intitolava Egoland.”
“Egoland.”
“Parlava di una città dove ognuno vive in un palazzo
rosso, blu, verde, comunque di un colore solo: ed è convinto sia l’unico possibile e immaginabile… Strano, no?”
“Cosa?”
“Era un racconto sul pericolo del conformismo, delle
ideologie. Io, al contrario degli abitanti di Egoland, mi
sentivo libera, aperta e indipendente. Invece.”
“Invece?”
“Invece mi sa che ci abito pure io.”
“A Egoland.”
“A Egoland.”
“Sa, Chiara: ci abitiamo quasi tutti. Se Egoland è la
cittadina dei retaggi dell’infanzia, delle coazioni a ripetere
e degli attaccamenti, è difficile evadere”
“A meno che Egoland non esploda, come è successo a me, un anno fa.”
“Una grande occasione.”
“Un dolore senza precedenti.”
“…”
“Senza precedenti.”
“Però ci pensi, Chiara.”
“Ci penso.”
“Non fosse esplosa Egoland, non si sarebbe mai resa
conto che, fuori da Egoland, le persone suonano il violino.
Rubano. Cucinano. Fanno le volontarie in ospedale. Fuori
da Egoland succedono tantissime cose. Succedono tutte, le cose.”>>
Spero che tu stia bene.
Un sorriso,
Sara
Lettera di Natalia
12 dicembre 2022
Lucio Dalla cantava di Maria, una donna che viveva di fronte una prigione, e di un prigioniero che si è immaginato la sua vita assieme a lei fino alla sua morte. La canzone, che è anche una bellissima poesia, non parla di amore, parla di speranza, la speranza che nulla si distrugga. Non distruggerla, non spegnerla, tienila viva, coltivala, istruiscila, falla crescere ogni giorno, così che cresca con te, per te. Ti auguro di rimaner vivo di amore per te. Buone feste di vero cuore.
Natalia
Dalla sua cella lui vedeva solo il mare
ed una casa bianca in mezzo al blu
una donna si affacciava, Maria
E’ il nome che le dava lui
Alla mattina lei apriva la finestra
E lui pensava quella è casa mia
Tu sarai la mia compagna Maria
Una speranza e una follia
E sognò la libertà
E sognò di andare via, via
E un anello vide già
Sulla mano di Maria
Lunghi i silenzi come sono lunghi gli anni
parole dolci che s’immaginò
questa sera vengo fuori Maria
ti vengo a fare compagnia
E gli anni stan passando tutti gli anni insieme
ha già i capelli bianchi e non lo sa.
Dice sempre manca poco, Maria
vedrai che bella la città
E gli anni son passati tutti gli anni insieme
ed i suoi occhi ormai non vedon più
disse ancora la mia donna sei tu
e poi fu solo in mezzo al blu
vengo da te Maria
Lettera di Viviana
13 dicembre 2022
Ciao tu.
Mi piace il tu, accorcia le distanze e ci fa sentire meno soli. In un mondo in cui soli, in fondo, lo siamo sempre di più, tutti.
Quindi ciao tu.
Se ti è arrivata questa lettera ed è arrivata proprio a te, ai tuoi occhi o alle tue orecchie, ci deve essere un motivo: le coincidenze non esistono.
Lo so a cosa stai pensando: parole, parole, parole, cosa me ne faccio delle parole quando avrei bisogno di un abbraccio?
Io ho sempre creduto che le parole salvano.
Lo so che lì dentro non è divertente e che in questo mondo in pochi lo capiscono perché, troppo spesso, questo mondo dimentica che in ognuno di noi si nasconde bianco e nero, lupo e agnello.
Io cerco di ricordare a me stessa ogni giorno che tutti possiamo diventare lupi se isolati, feriti e sanguinanti: siamo sfumature e siamo belli per questo.
Ma quello che voglio ricordare a te, oggi, è che tutti possiamo tornare ad essere agnelli, se meno soli, meno feriti, meno sanguinanti.
L’agnello è un animale meraviglioso, spacciato per debole solo perché mosso da amore. Ma l’amore ci rende forti e vince, sempre.
A questo servono le parole: a lenire le ferite e riportare l’amore in circolo.
Fidati: funziona.
Perciò voglio dirti solo alcune cose: consideralo un manifesto della libertà da rileggere quando il fardello da portare ti sembrerà un po’ più pesante.
Non darti per vinto.
Aggrappati al soffio della vita.
Leggi, sogna, immagina, crea: sei venuto su questa terra per un compito ben preciso. Ad un certo punto ti sei solo smarrito: ora la tua sfida è ritrovare la strada e quel compito che ti era stato assegnato.
Siamo venuti qui per lasciare una traccia e un mondo migliore a chi verrà: non dimenticarlo.
Datti da fare: sono certa che riuscirai ad essere una persona libera anche lì dentro. Qui fuori è pieno di persone chiuse in gabbie dorate che fingono di essere libere.
Tu hai una sfida più grande davanti a te: far volare i tuoi sogni e le tue idee oltre quelle sbarre.
Scrivi un libro se puoi, oppure una poesia.
Il mondo ne ha estremamente bisogno.
Probabilmente di consigli ne avrai già ricevuti tanti.
Ma accetta il mio, per questa volta.
Viviana
Lettera di Maria Lucia
14 dicembre 2022
Ciao,
come stai?
È una domanda che spesso ci fanno, penserai, ma che a molti non importa affatto e a cui noi dal canto nostro rispondiamo sempre allo stesso modo con un finto “bene, grazie”.
Il mio “come stai” è sincero perché ritengo sia fondamentale stare in ogni situazione che la vita ci presenta e “starci” con tutte le emozioni e tutte le difficoltà che si presentano.
Sono una paziente oncologica e “sto nelle mie paure”, le trasformo in quello che mi piace fare e sono convinta che le relazioni umane siano la più bella rete di sostegno.
Mi occupo di un orto sociale “L’orto delle donne”, la natura per me è la forma più sublime di relazioni: insegna il valore del tempo, la resistenza alle intemperie, la meraviglia, la rinascita, la condivisione e la relazione con il gruppo di volontarie ognuna con le proprie caratteristiche e ognuna da cui prendere per arricchire la propria vita.
La scrittura creativa per bambini è un’altra delle mie passioni che mi aiuta a trasformare i messaggi che mi piacerebbe arrivassero al cuore dei piccoli perché sono la parte migliore del mondo.
Ho sentito parlare dell’equazione dell’amore (fisica quantistica): Se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possono più essere descritti come due sistemi distinti, ma diventano un unico sistema. Anche la fisica ha ceduto all’amore.
Spero che questa definizione piaccia anche a te e che tu possa fare delle tue relazioni un unico sistema d’amore sul quale costruire, costruire e costruire.
Un abbraccio dal mio cuore al tuo
Maria Lucia
Lettera di Francesca
15 dicembre 2022
Caro sconosciuto,
spero di portarti sollievo con queste mie parole.
Mi chiamo Francesca, finalmente il 19 novembre 2022 ho imparato ad amarmi! E ti chiederai “cosa vuol dire?” Te lo spiego subito.
Non ho avuto proprio un’infanzia serena: sono stata bullizzata alla scuola elementare e poi alla scuola media, venivo picchiata in classe e fuori nel freddo cortile, le insegnanti non sono mai intervenute in mio soccorso, mi hanno sempre ignorata.
Quando tornavo a casa raccontavo ciò che mi era successo a mia madre e lei mi sgridava perché non ero una brava figlia (=non avevo amici, non ero particolarmente brillante nelle verifiche e così via). Allora la mia tristezza aumentava, non erano solo i miei compagni il problema ma anche la mia famiglia, proprio quella che mi doveva supportare invece cercava di farmi inciampare.
Ho iniziato nei primi anni della scuola media a farmi del male con delle semplici forbici, sono diventata autolesionista in poco tempo, e nessuno mi aiutava, i miei genitori lo sapevano ma facevano finta di niente pensando “tanto passerà”.
La mia condizione di persona depressa proseguì per altri anni, sino alla fine del liceo, quando grazie all’aiuto di una professoressa riuscii a uscire da questo vortice distruttivo, da questo burrone prima di cadere definitivamente nella distruzione.
Così, come ben puoi immaginare, io non mi non sono mai vista come una bella ragazza: sono piena di segni sulle braccia che mi ricordano ciò che ho passato, non sono magra come il canone di bellezza di oggi…dopo anni a odiarmi, volere il peggio per me, punirmi per non essere abbastanza, ho iniziato a capire che l’amore per se stessi è importante, ho iniziato a capire che la vita è mia e morire nell’odio non sarà mai abbastanza.
Così da poco ho iniziato a guardarmi allo specchio, sorridermi, abbracciarmi, dirmi parole belle. La mia vita oggi è cambiata, è diventata più colorata da quando sono felice con il mio corpo.
Ti starai chiedendo perché ti sto raccontando tutto questo, immagino. Vedi, vorrei mostrarti che la felicità esiste, che non è mai troppo tardi per raggiungerla, che bisogna avere sempre un briciolo di speranza e credere sempre in un futuro migliore. Io non pensavo di riuscire a essere felice e invece oggi sono una persona piena di energia e voglia di vivere.
Ti invito a credere sempre perché la felicità esiste, per tutti.
Con affetto,
Francesca
Lettera di Annalisa
16 dicembre 2022
Ciao tu. Come stai?
Io non so… Sai quando prendi il brevetto di nuoto e pensi “beh dai, so nuotare”? Ma poi in estate vai al mare e no, non è la piscina: è più grande, è salato, è pieno di gente, è agitato e c’è corrente.
In poche parole: è diverso ed è faticoso.
Ecco, io mi sento così.
Credo intimamente -o mi sforzo, forse- di vivere nella mia piscina, ma chiaramente il mare mi chiama. E quando, dopo tanto auto-convincimento, esortazioni e simulazioni di lancio, mi tuffo… Ecco che impatto con l’acqua.
Quasi sempre la prendo di pancia. E fa male.
Cavolo se fa male. Però poi, sai cosa?
Per quanto mi sembri sia tutto così faticoso, i muscoli mi fanno male, in fondo nuotare non mi piace per niente… Alla fine riemergo.
Riemergo, respiro, sono fuori.
Ce l’ho fatta. Ce la faccio.
Non sempre da sola: l’acqua mi spinge, mi sostiene, mi lancia nella vita.
Alla fine sono lì. Galleggio. Resto ferma. Mollo tutto.
Ché forse, a volte, è ciò che mi serve per ripartire.
Annalisa
Lettera di Francesco
17 dicembre 2022
Ciao,
io mi chiamo Francesco e compirò il prossimo mese 60 anni.
Noi non ci conosciamo, ma conosco il posto in cui ti trovi ora, perché anch’io sono stato detenuto come te.
Non sono stato detenuto a Bologna, ma nella casa circondariale di Modena (ma non credo che sia molto diverso).
Io sono stato circa 3 anni detenuto, poi mi hanno trasferito nella sezione semiliberi quando mi hanno concesso il beneficio dell’Art.21 con lavoro esterno (uscivo di giorno per andare a lavorare e tornavo dentro la sera a fine lavoro).
Dopo circa un anno di Art.21 ho ottenuto l’affidamento ai servizi sociali e così, per poco meno di un anno e mezzo, ho terminato di scontare la pena fuori dal carcere.
So bene quindi della fatica che si prova a vivere quello che ora tu, così come tanta altra gente, sta vivendo.
So del grande senso di impotenza e di inutilità che ti riempie ogni giorno, per non parlare dei vari e discutibili atteggiamenti con cui si deve avere a che fare, che ti fanno sentire ancora più inutile e abbandonato, che ti fanno montare sempre più una gran rabbia dentro.
Ti scrivo non per giudicarti, non per sapere se sei colpevole o innocente, non per farti un discorso (ne avrai già sentiti così tanti), oppure per darti dei consigli su come passare questo tempo nel modo migliore possibile, ma solamente per regalarti un attimo di compagnia, perché tu sappia che, anche se spesso non ce ne accorgiamo, c’è qualcuno che tiene a te, indipendentemente dal tuo comportamento, dai tuoi risultati, dai tuoi eventuali errori o dai tuoi sbagli.
Ti vorrei solo rassicurare che il bene esiste.
So che spesso, soprattutto nella difficile condizione della detenzione, non si riesce facilmente a percepire qualcosa di diverso in mezzo a tanta aridità, a tanta disumanità, a tanto disprezzo.
Tu hai un valore in origine, come qualunque altra persona, che non coincide minimamente con le azioni che, anche se scelte volontariamente, puoi aver commesso, ma che c’è come possibilità di compimento per te solo per il fatto di esistere, di essere stato creato.
E non dipende nemmeno dal tempo: non si è mai “in ritardo” per cercare il bene per sé.
Ho promesso all’inizio di questa lettera che non ti avrei dato dei consigli, ma una sola cosa desidero dirtela: questo bene, prima di aspettarsi che sia riconosciuto fuori di te, necessariamente deve essere voluto e riconosciuto da te stesso.
Sperare che tu possa appartenere al bene, non solo è una cosa possibile, ma è tanto più possibile nella misura in cui la tua scelta, del tutto autonoma e libera, sia fatta convintamente e sia declinata come leale tentativo nella tua realtà quotidiana, qualunque essa sia.
Il vero bene si sceglie a prescindere, con gratuità, con pazienza, con umiltà, senza la fretta di vedere a tutti i costi un cambiamento attorno a te.
Ti garantisco, sempre per esperienza vissuta, che i suoi frutti ti stupiranno, ti sorprenderanno, ti lasceranno incredulo e dispiaciuto di non averlo fatto prima.
Sarà il tuo cuore a cambiare, il tuo modo di concepire te stesso e tutte le cose attorno a te.
Là fuori sono sicuro che c’è qualcuno che tiene a te: qualcuno che ti ha a cuore, solo per il fatto che ci sei, e non solo come sei (o per come, eventualmente, sei stato).
Spero tanto che queste poche righe del mio tempo, che sono sorte gratuitamente a fronte della comune esperienza vissuta, possano essere minimamente di conforto per te, e soprattutto utili e gradite.
Per il momento finisco qua, augurandoti con tutto il cuore di vivere nel modo migliore possibile questo tempo difficile e faticoso, fino a farlo diventare “utile e fecondo” per te.
Ti auguro inoltre che questo stesso tempo possa diventare il momento e il luogo della tua rinascita.
Grazie di cuore aver avuto la pazienza di leggere le parole di questa lettera che ho scritto con vero piacere solo per te: ti mando un grande abbraccio.
Francesco
Lettera di Zaccaria
18 dicembre 2022
Caro amico,
permettimi di chiamarti amico, anche se non ci conosciamo e, probabilmente, non ci conosceremo mai. Scriverti è un modo per incontrarci almeno con le parole e, attraverso esse, con i sentimenti.
Già, i sentimenti. Ne abbiamo di comuni? Io penso proprio di sì.
Vedi, tu sei lì dentro, non so da quanto tempo né per quanto, e non mi importa conoscere la causa che ti ha condotto nel luogo dove sei ora.
La mancanza di un parente, d’un figlio o d’un padre, d’una madre, la lontananza da una donna con cui stavi condividendo parte del tuo viaggio nella vita, i pensieri d’un futuro avvolto nella nebbia dell’incertezza, il desiderio di poter assaporare la gioia della libertà, non sono sentimenti che provi soltanto tu, ma sono quei moti dell’anima che ogni uomo prova nei momenti di solitudine in cui il destino o il caso lo gettano .
La nostra è una società che vive nel concetto di una giustizia giusta.
Non sempre è così, purtroppo.
Perché è la stessa società in cui i ricchi hanno dei sentimenti di inclusione e appartenenza, i poveri e chi non ha lavoro o lo ha perduto sono invece “detenuti” in una gabbia spesso invisibile, ma piena di dolore e afflizione.
Ѐ la stessa società che produce milioni di esseri al mondo “detenuti” in guerre e carestie, esportando lei stessa armi, depredando lei stessa le loro risorse, e producendo poi la sofferenza indicibile di tutti quei migranti che, se non muoiono in mare, durante i loro viaggi della speranza, saranno comunque “detenuti” lontano dalle loro terre, dai loro cari, dalle carezze di un figlio, di una madre, di una sposa.
Ed è in questa società che, da sempre, i malati o peggio ancora gli anziani, quelli non autosufficienti, durante le loro malattie, le loro infermità, sono “detenuti” in ospedali e cliniche, case di riposo, anche loro a combattere una battaglia spesso solitaria per sopravvivere alla sofferenza e all’abbandono.
Ti scrive questa lettera uno che, qualche mese addietro, il Covid ha “detenuto” in una terapia intensiva, in totale solitudine con se stesso, non conoscendo il futuro, quello prossimo e quello più lontano (se ci sarebbe stato o no), consapevole della terribile angoscia in cui i propri cari che, fuori, senza notizie, soli anche loro, erano “detenuti” nella incertezza di quello che li attendeva.
Il mio ricovero coincise con il Natale e il Capodanno.
Ecco perché avvicinandosi questi giorni, oggi, mi sento molto vicino ai tuoi sentimenti.
Sono i sentimenti che provano in tanti e che ti accomunano a ognuno di loro.
Io ce l’ho fatta.
Altri, non sapremo mai quanti, con grandi sacrifici, rinunce, dolori, ma grande speranza in se stessi, ce l’hanno fatta.
Sono sicuro ce la farai anche tu.
Metticela tutta.
Spero che queste povere parole ti tengano un po’ di compagnia, in attesa che sorga presto nella tua vita quel sole che ha il sapore di libertà.
Un abbraccio e tanti auguri.
Zaccaria
Lettera di suor Rosa
19 dicembre 2022
Carissimo fratello, tu non mi conosci e nemmeno io ti conosco, ma da quando ho avuto tra le mani l’invito a scrivere a un fratello o a una sorella, io suora missionaria della Consolata, con 31 anni di missione in giro per il mondo, ho iniziato a pregare per il fratello che avrà tra le mani questa mia.
Ora che ormai ho compiuto 93 anni non ho più la possibilità di USCIRE da questa nostra casa di riposo e dalla finestra vedo sfrecciare sulla via auto dai vari colori, giovani con lo zaino sulle spalle che escono dalla scuola quasi a fianco della nostra casa; vedo donne che vanno al supermercato poco più avanti di noi; file di persone che scendono dal pullman di linea e si dirigono verso le loro case sparse attorno a noi.
Vedo, ma non posso USCIRE.
Le mie gambe che hanno corso in Europa, Africa e America, ora si accontentano di una stampella e di una carrozzina; ma proprio oggi che ho inaugurato l’uso della carrozzina mi sento serena e libera. Libera di ritornare anche se solo virtualmente nelle missioni in Amazzonia dove ho incontrato tanta fame e ho sofferto tanta fame. Roraima, la mia prima missione.
Voglio raccontartela.
Nel Territorio di Roraima, all’estremo nord del Brasile, oggi non manca nulla, ma negli anni ’60 non c’era nulla. Le mie sorelle addette alla cucina, dovevano cucinare per 65 ragazze di età differente. La dispensa offriva quasi niente.
C’era la farina che veniva dall’America, ma dopo mesi di viaggio, nascondeva nei sacchi lunghi vermi.
I missionari andavano a caccia di gazzelle, di conigli selvatici, uccidevano le mucche che non erano più in grado di generare, che non erano più in grado di dare latte, e offrivano a noi le loro carni dure.
Ma per fare pane e pasta, le sorelle cuciniere dovevano alzarsi alle 4 per setacciare la farina dai vermi.Tempi duri, tempi eroici.
Era il tempo della contestazione in Italia, e noi, giovani missionarie contestavamo contro la vita agiata di certi settori della nazione brasiliana (ieri come oggi ).
In quella vita facevamo di tutto per seminare (con le bustine provenienti dall’ Italia) fagioli, verdure, pomodori, ma l’acqua era scarsa e si usava allora l’acqua che serviva per la nostra pulizia personale. Era una festa veder crescere le piantine dei pomodori, il prezzemolo, l’insalata.
Era una festa anche quando con le offerte dei nostri genitori e amici potevamo comprare un pezzo di terra per una famiglia e insieme ai ragazzi del ginnasio e vari dei loro papà costruire una casa per una vedova con figli, una giovane coppia, un povero solo.
Ancora oggi al mattino, quando inizio la preghiera, prego per tutti quelli che mi hanno aiutato ad aiutare a rendere la vita migliore a tante persone.
Il mio lavoro di insegnante di matematica, biologia, fisica e religione, serviva a formare giovani mamme capaci di attendere alla loro casa, al loro orticello, a raccogliere l’acqua piovana ( scarsa e preziosa ) nei tank a fianco delle loro case, allevare bene i piccoli figli, e provvedere al cibo della famiglia, mentre l’uomo doveva sfruttare il tempo delle piogge per coltivare il campo e raccogliere patate, granoturco, fagioli e girasoli per l’olio.
Che bello ricordare queste cose, che bello rivedere con gli occhi della mente il sorriso di tante giovani donne che raccogliendo verdure per loro ci portavano un mazzetto di insalata…era un grosso regalo.
Che bello ricordare la gioia di tanti ragazzi che hanno imparato a scrivere il proprio nome.
Che bello vedere le giovani mamme venire e mostrarmi il loro paffuto bimbo.
Pensa, caro fratello, che questo è solo un accenno della mia vita. Quanto ti potrei raccontare ancora della mia missione nel sud del Brasile.
Quanto avrei da raccontarti della mia vita a Londra, tra gli immigrati che pagavano per i londinesi qualunque sbaglio che avveniva nella città. Quanto avrei da dirti ancora della mia vita in Kenya, in Portogallo, a Torino nella zona delle Vallette, dove lacrime e dolori erano all’ordine del giorno.
Carissimo fratello, desidero per te un Natale sereno anche se come me non potrai USCIRE. Un Natale che ti faccia ricordare tante cose belle della tua vita e desiderare di poter costruire un futuro che farà gioire. Io pregherò perché questo si avveri.
Buon Natale.
Ti invio un fiore, accettalo. E’ un regalo che ti faccio: non devi innaffiare, nemmeno avere troppe cure . E’ sufficiente che ti ricordi di me.
Un abbraccio
suor Rosa
Missionaria della Consolata
Lettera di Monica
20 dicembre 2022
A chi vorrà dedicare del tempo alla lettura della mia lettera: questa é parte della mia storia.
A lungo ho valutato se fosse giusto scrivere questa email e alla fine eccomi qui, dopotutto sono pur sempre figlia di un detenuto, anche se da vent’anni ho scelto di interrompere ogni tipo di contatto con lui.
Oggi ho 41 anni e sono mamma di un bimbo di 3, che, ironia della sorte, è nato nello stesso giorno del nonno.
Anche se sono già passati molti anni, possiedo ancora numerosi ricordi legati ai vari periodi di detenzione di mio padre, che, in maniera recidiva, a lungo é entrato e uscito dal carcere.
Ricordo le nostre visite presso i penitenziari fin dall’età di 4-5 anni, il silenzio assordante della stanza perché tutti bisbigliavano.
Non scorderò mai il divisorio che mi separava da mio padre, che avrei voluto toccare e riabbracciare. Ero solo una bambina spaventata in cerca di affetto.
Per quanti Natali e compleanni ho atteso e sperato che lui venisse, ma non arrivava mai.
Oggi, dopo tanto dolore e molti arrovellamenti, l’ho perdonato, ma, una volta diventata adulta, ho comunque deciso di non averci più a che fare perché negli anni: il suo egoismo ha prevalso sull’amore per i suoi cari e io, delusa ormai troppe volte, ho interrotto tutti i rapporti con lui.
Da quando sono diventata mamma la mia delusione verso di lui è persino aumentata.
Nel corso degli anni ha tentato in qualche modo di riallacciare i rapporti, ma invano, perché i suoi tentativi si sono sempre scontrati con il nostro silenzio (alla fine i miei genitori divorziarono dietro richiesta di mia madre).
Una cosa che ho imparato con il tempo é che gli errori non definiscono le persone, ma conta quello che queste ultime fanno dopo averli commessi.
Volendo trovare ad ogni costo un risvolto positivo al dramma e al trauma che ho vissuto a causa di mio padre, oggi mi é chiarissimo che tipo di genitore voglio essere per mio figlio.
Gli errori di mio padre rappresentano tutto ciò che voglio evitare al mio piccolino, perciò oggi con lui cerco di essere il più possibile presente, attenta ed affettuosa, perché nessun bambino merita di vivere l’inferno che ho vissuto da piccola e che mi sono caricata sulle spalle a lungo come un pesante fardello.
Ammetto che la mia dolorosa esperienza ha contribuito a rendermi la donna forte che sono oggi, ma non nascondo che abbia allo stesso tempo richiesto un notevole processo di elaborazione e un altrettanto enorme lavoro su me stessa.
Sicuramente, se avessi percepito da parte di mio padre un minimo di pentimento verso il passato e la volontà di cambiare vita, le nostre strade avrebbero potuto incrociarsi ancora, ma così non é stato.
Scrivere questa lettera é un po’ come scrivere a me stessa e a mio padre.
Credo che questo progetto sia una buona possibilità perché conosco bene la frustrazione del tempo che passa e l’attesa di una lettera o di un qualunque tipo di gesto; era la stessa che vivevamo sia io che lui, seppur in modo diverso.
La detenzione di mio padre non ha fatto soffrire solo lui, ma a cascata é ricaduta sulla sua famiglia.
Io ho studiato, mi sono laureata, ho viaggiato e vissuto molto, ma sempre responsabilmente perché mi sono dissociata dalla vita di mio padre, fatta di furti, rapine, spaccio e consumo di droghe e non so cos’altro.
Tutti hanno diritto ad una seconda possibilità e trovo che il carcere non sia un marchio infamante per chi c’é passato, purchè, una volta usciti, questa vostra esperienza difficile
vi sproni a cambiare vita per evitare di inciampare nelle stesse situazioni che vi hanno condotto lì.
Mantenete viva la speranza e, se posso permettermi, cercate di impiegare il tempo trascorso in cella per puntare su voi stessi come potete: studiando, leggendo, scrivendo, imparando nuovi mestieri e, se possibile, conseguire un diploma.
Insomma, prefiggetevi degli obiettivi positivi che possano nutrire la vostra anima.
Il periodo della detenzione é solo una temporanea interruzione della vostra vita fuori, ma nel mentre può trasformarsi in una risorsa per migliorarsi come persone e come uomini.
Auguro a tutti voi un Buon Natale, con la speranza che vi attenda un futuro pieno di luce e speranza. E, come era solito scrivermi mio padre nelle sue lettere, quando ancora eravamo in contatto,
Buona Vita
Monica
Lettera di Tommaso
21 dicembre 2022
Ciao,
sono un ragazzo di quasi 15 anni che frequenta l’Istituto Giulio Natta a Bergamo, la mia città.
Sono alto circa 1,80 cm, ho i capelli castani quasi sempre spettinati perché mi piacciono lunghi ma non sempre li pettino, ho gli occhi azzurri che ho preso dalla mamma e per la mia altezza sono un po’ magro.
La scuola che frequento mi piace molto, perché da sempre mi appassionano le materie scientifiche. Ho praticato il calcio fin da piccolo e ho sempre giocato in difesa con discreti risultati.
Sono appassionato di Formula 1, sicuramente è lo sport che preferisco, da bambino sognavo di diventare pilota; quando posso mi alleno al simulatore e ogni tanto vado sui kart dove mi diverto in pista sentendomi un vero pilota e cercando, non sempre ci riesco, di fare il giro veloce.
Di te non so nulla, ho solo il desiderio di dirti che non ti giudico.
Non posso nemmeno capire come ti senti, lo posso immaginare, lontano dagli affetti e dai tuoi amici.
Da piccolo, in auto, ascoltavo una canzone molto bella che mi piaceva molto.
Mi spiegarono poi che l’autore si era ispirato ad una lettera ricevuta da un carcerato, si intitola “Sole spento” e leggendo il testo ho percepito cosa si può provare ad essere, cito il testo “costretti al pentimento”.
Sono convinto che le persone non abbiano le stesse opportunità, io mi ritengo fortunato, e probabilmente se non le avessi avute sarei al tuo posto, e forse tu al mio.Sono cresciuto senza pregiudizi e se una persona sbaglia bisognerebbe capire perché ha sbagliato.Adesso ti saluto, sono sicuro che ci incontreremo un giorno, magari ad assistere ad una gara di Formula 1, tiferemo insieme per la stessa auto senza sapere nulla l’uno dell’altro, con l’augurio e la speranza che la vita ti abbia dato una nuova opportunità.
Tommaso
Lettera di Nadia Gelsomina
22 dicembre 2022
Qui fuori non è poi così facile.
ci pensi?
ci muoviamo tutti, in qualche modo sobbalziamo tutti agli stessi impulsi, rispondiamo come meglio crediamo o sappiamo. e poi sbagliamo. anche qui.
alcuni errori pesano come gocce di pioggia, altri come uragani.
ho pensato di scriverti, non so chi tu sia, ma so che sicuramente se chiudi gli occhi vedi tutto nero, però ti svelo un segreto se ti metti in direzione della luce, quel nero diventa caldo e non fa più paura.
io lavoro con i colori, con le forme, a volte anche con le parole.
qui fuori faccio un mestiere che mi ha salvato l’anima, sono un’ artista.
anche qui fuori ci sentiamo dentro.
anche qui fuori pensiamo di essere in gabbia, ci pensiamo ogni giorno ingenuamente, abbiamo tutti dei confini che vorremmo non ci fossero.
e qui fuori tutti noi cerchiamo il modo migliore per accarezzare la libertà, che è una parola così grande che se la immagino posso sentire il peso sulle mie spalle, un desiderio nato con l’umanità, un sogno silenzioso che pensiamo di possedere, ma che ha così tante prospettive da farci perdere.
allora che faccio? disegno, suono, scrivo e sono libera. ci hai mai pensato?
scrivi, disegna, suona e gioca, è questa la luce che cancella il buio.
riscaldati.
è un consiglio, magari il più banale che tu abbia ricevuto lì dentro e per questo mi scuso anche un po’, ma con me ha funzionato tante volte.
insieme a questo pensiero sgarrupato ti allego una mia illustrazione, è una donna, una Madonna, una Pace che spero possa far diventare il nero meno nero.
non so chi tu sia, io sono Nadia e per me è stato un piacere.
un abbraccio.(i fogli bianchi sono un lasciapassare per la libertà.)
Nadia Gelsomina
Lettera di nonna Gegè
23 dicembre 2022
È oltremodo difficile per me spedire una lettera ad una PERSONA che non conosco, ma l’idea che le mie povere parole, parole di una nonna, possano in qualche modo diradare, anche per un solo momento, la nebbia che ti avvolge, mi rende felice.
Voglio immaginarti in qualche modo, non voglio però pensare ai motivi che ti hanno portato all’oggi.
Il passato per me non conta, sei quel qualcuno a cui mi rivolgo con rispetto.
La vita delle persone è fatta anche di errori, tutti ne abbiamo fatti, ma l’importante è rendersene conto e andare avanti.
Il Natale è alle porte e il Natale, credenti e no, è sempre un tempo di riflessioni e di tanta nostalgia.
Voglio, con tutto il cuore, esserti vicino e in quel giorno ti penserò e con la famiglia unita, davanti ad un immancabile scodella di tortellini, parlerò di te ai miei 4 nipoti e non solo, ti ricorderemo come un nuovo amico che non ha potuto aggiungersi alla nostra tavola.
Sii forte, la vita è comunque bella ed anche dalle esperienze più dolorose si può trarre quell’insegnamento che ti consente di ripartire e di impegnare il vuoto del tempo.
Non mi resta che augurarti BUON NATALE e sia BUONA la STRADA che devi ancora percorrere.
Nonna Gegè
Lettera di Francesca
24 dicembre 2022
Ciao, mi chiamo Francesca.
Ti sto scrivendo da Bologna, dalla cassa di un cinema parrocchiale che per tanti anni ha dato film di seconda visione e adesso invece è diventato di prima visione.
Ci aspettiamo sempre che arrivi del pubblico, oggi invece in sala non c’è nessuno, fuori un tempo da lupi e io sono molto raffreddata: penso che vorrei essere a casa, a letto a riposarmi, e invece sono qui.
A volte siamo in luoghi in cui non vorremmo essere. E allora come si fa? Si impara a farsi andare bene le cose, cercando qualcosa di positivo nella situazione in cui ci si trova.
In questa circostanza per cosa potrei essere grata?
Sono seduta in una stanzetta al caldo, il riscaldamento è affidato a uno di quei termosifoni grossi su rotelle, ce l’ho accanto, fa un bel tepore. Sulle spalle ho uno scialle che avevo regalato a mia nonna vent’anni fa per il suo compleanno, poco dopo aver saputo che aveva un tumore all’ultimo stadio. Lo comprai in un grande magazzino a Parigi: ha un bel colore viola, dei bellissimi ricami colorati molto francesi, e lei lo portò tanto in ospedale, durante la chemio era perfetto per tenerla al caldo, e ogni volta che mi avvolgo in questa lana sento il calore del nostro amore.
Nell’atrio del cinema c’è un distributore di merendine, ho preso una cioccolata calda e uno snack, con la scusa che non sto bene mi concedo ogni porcheria, ma in verità ho sempre una scusa per mangiare: riempirmi di cibo è la soluzione a tutto, a ogni stato d’animo, a ogni momento difficile, a ogni malanno. Ma non divaghiamo, dei miei problemi alimentari ti racconterò magari in un’altra lettera.
Ti scrivo lamentandomi, pur sapendo che sei in una situazione sicuramente più complicata della mia. La vita in carcere è qualcosa di inimmaginabile per chi non l’ha provata, penso che ogni parola di chi vive al di fuori possa sembrarti inadeguata, vuota.
Come reagirei io al posto tuo, a leggere di capricci per un raffreddore? Mi darebbe fastidio. Però leggere della nonna, ecco, quello forse mi piacerebbe, perché abbiamo tutti degli affetti, e i tuoi affetti, che non conosco, sicuramente sono qualcosa che ti scalda il cuore, e in questo allora le nostre vite si somigliano.
Tu hai dei figli? Io avrei tanto voluto avere dei figli ma niente, non è stato così. Il primo che ho perso era un bimbo figlio di una situazione insostenibile, l’ho perso naturalmente. Probabilmente l’avrei chiamato Ainaki, per una canzone dei Radiodervish che ascoltavo tanto in quel periodo. La seconda figlia che ho perso la stavo già amando moltissimo, ma si vede che non era destino che arrivasse. Si sarebbe chiamata Harriette, come Harriet Tubman, donna coraggiosa che lottò contro la schiavitù negli Stati Uniti. Avrebbero 8 e 2 anni adesso. Io ho 48 anni, sono obesa, ipertesa, in premenopausa. Non potrò averli i miei bimbi, ma magari potrò dare amore in altro modo, ad altre persone.
Nei momenti un po’ difficili, come oggi, quando non stare bene fisicamente acuisce il mio lato malinconico, penso che il motivo per cui ciascun essere umano è al mondo sia dare amore. In qualsiasi forma. Amore per le persone ma anche per ogni attimo, la gratitudine di cui dicevo prima.
C’è una luce bassa in questa stanzetta-ufficio e sono grata per questo.
L’unica persona che è venuta al cinema ho scoperto essere una signora con cui mia mamma giocava da piccola: abbiamo scambiato due parole sulla sua casa in campagna e su quella volta che mi ha vista da piccola, poi ho chiamato mia mamma per dirle che la sua amica era passata, così anche lei mi ha raccontato cose della sua infanzia.
Molta dolcezza in circolo, molto calore che è decisamente la parola di oggi.
Mi piacerebbe sapere cosa ti scalda, ti rende felice, ti fa sentire bene.
Ti saluto con un abbraccio caldo e un grazie, per avermi permesso di vivere con gratitudine questa giornata fredda, umida, ma che alla fine si è rivelata bella.
Ti auguro il meglio
Francesca
Lettera di Martina
25 dicembre 2022
Ciao Anima Bella,
Sono Martina, ho 33 anni e ti scrivo dal mio computer di lavoro, da dentro al nostro furgone camperizzato (casa nostra), che a sua volta si trova dentro un campeggio ad Amsterdam. Risiedo in Olanda da 4.5 anni ma dalla pandemia molte cose sono cambiate, fuori e dentro di noi. A partire dal lavoro, che posso fare da remoto, e che ci permette di avere una casa itinerante.
Per 4 mesi abbiamo costruito il furgone e poi girato l’Italia in lungo e in largo. Poi la Spagna, la Francia, Germania, Belgio. È bello vivere in mezzo alla natura, farsi una doccia ghiacciata fuori guardando il cielo, contemplare dal letto tramonti e albe magnifiche. Immagino che faccia più male che bene sentire queste cose: la libertà di scegliere dove vivere, che fare, permettersi di cambiare programmi ogni giorno…è esattamente l’opposto di quello che a te è concesso.
Il sistema giudiziario ha fallito e tu ne sei la prova. Immagino che alle volte essere in carcere sia peggio della pena di morte: non ti tolgono la vita, ma ti tolgono tutto ciò per cui vale la pena vivere. E quando vivere diventa un peso pensi a resistere fin quando non potrai tornare dai tuoi cari, o semplicemente a poter scegliere cosa fare della tua giornata.Sai, tra i miei sogni megalomani e il mio innato ottimismo c’è la speranza di costruire un futuro migliore.
Mi immagino il carcere come un villaggio: ognuno con la propria casa, orto, la possibilità di avere ospiti a cena, cucinare un buon piatto passando a prendere gli ingredienti al market. La socialità, il lavoro, il divertimento. Un carcere dove chi ha commesso crimini non venga abbandonato ma doppiamente sostenuto. Perché i colpevoli in fondo sono le prime vittime. Vittime di un sistema che funziona a rovescio, di discriminazione, di una vita troppo pesante da affrontare, della propria mente. E dobbiamo dare loro gli strumenti per comprendersi, e riscattarsi.
Tu è cosi che ti senti? Come vorresti fosse il carcere? Immagino che ti basti molto meno che un villaggio.
Nel frattempo ti mando un abbraccio caloroso.
Chiunque tu sia questo Natale ci sarà posto anche per te nella nostra casa, nei miei pensieri. Tu, per favore, fammi un grandissimo regalo: non smettere mai di sognare, e di credere che giorni migliori arriveranno anche per te.
Con affetto
Martina
Lettera di Gigi
26 dicembre 2022
Ciao.
Ti scrivo in un giorno particolarmente angoscioso per me. Sono qui, davanti a questo computer, con la consapevolezza di essere “diverso” dagli altri.
Ci sono abituato: sono trentasette anni che il mio corpo vive affetto da una tetraplegia spastica, che mi porto dietro fin dal primo istante in cui i miei occhi si sono aperti al cospetto del mondo.
I miei genitori mi dicono sempre che sono stato fortunato a nascere in un caldo contesto familiare dal quale sono stato accolto con molta gioia, malgrado il mio problema fisico abbastanza invalidante.
Ogni sera, però, quando la mia giornata termina non faccio che domandarmi come sarebbe stato se tutto avesse assunto una piega diversa.
Tutto ruota intorno ad una serie di circostanze. Una vera e propria roulette russa. A me, infatti, è andata proprio in questo modo: la mia cara mamma, prima che nascessi, si è sottoposta a tutti i controlli di routine. Voleva essere sicura che, almeno io, potessi nascere senza incidenti di percorso. Ma, purtroppo, così non è stato. Sono finito in un ospedale di infima categoria, nelle mani di vere e proprie bestie.
Quando penso che a causa loro la mia esistenza è molto compromessa, divento preda di una ribellione interiore senza limiti.
Anch’io come te mi sento in prigione.
Sono imprigionato nel mio stesso corpo. Un corpo incapace di rispondere alla maggior parte dei comandi che, com’è noto, gli giungono dal cervello. Credimi, anche la mia cella è spaventosa e lugubre. La tua, almeno, la puoi percorrere con le tue gambe.
Mi sento una Ferrari senza ruote. Ci penso costantemente.
Quando rievoco quest’immagine nella mia mente, mi sento avvolto da una spirale di ghiaccio. Sono cosciente di avere tanta benzina: è la mia intelligenza.
Mia madre mi ripete sempre che, se potesse, mi presterebbe le sue gambe. Beh, ti dirò mio amico che, anche se potesse, non le accetterei mai. La amo troppo per accettare che affronti un’altra privazione a causa mia. Ha sofferto già abbastanza.
Scrivo tutto ciò per motivarti a non abbandonare il tuo percorso di riabilitazione sociale e, se pensi che tutti i tuoi sforzi si stiano rivelando infruttuosi, posso garantirti che non è così. Però ricorda: la prima persona che deve valorizzare gli sforzi che stai compiendo, devi essere proprio tu.
Se impari a perdonarti, questo traguardo rappresenterà la pietra miliare per raggiungerne altri sempre più importanti.
Anch’io ho detto e fatto delle cose per le quali mi pento.
Essere GIUSTI rappresenta un dono del quale si viene omaggiati dopo un lungo cammino di introspezione ma quando si impara ad essere corretti, lo si è sempre. Sarai orgoglioso di te stesso e, di conseguenza lo sarà anche chi ti circonda o ti ama.
Quando progredisci SOLO per merito tuo, il tuo cuore e la tua anima si illuminano, ti sembra di essere pervaso da un perenne scampanellio, da una perenne festa interiore. Si tratta di un qualcosa di spontaneo, che con il tempo impari a fare e a distinguere. Ti inorgoglisce, ti fa sentire vincente; specialmente nell’assistere alla gioia che prende ad irradiarsi dentro di te.
È un traguardo difficile da raggiungere, ma non impossibile. Se ce l’ho fatta io, nonostante tutto, puoi farcela anche tu.
Non smettere di sperare e prova a crearti una tua felicità nel bene.
Vuoi sapere come lotto contro la rabbia, la frustrazione e la tristezza? Scrivendo. Rendendo gli altri partecipi delle mie emozioni: qualsiasi esse siano. Odio raccontare frottole, racconto solo verità. La scrittura, per me è verità.
Quando scrivo, la mia mente si suddivide in vari scomparti. In ogni personaggio che creo c’è un’essenza diversa. Se non mi aiutassi con la fantasia, mi trasformerei in un deserto arido. Spero, con questa lettera, di averti sottratto alla noia e alla tristezza. Ma, soprattutto, auspico che essa possa essere uno spunto per riflettere, una sorta di luce nel buio.
Buon Natale
Ciao, Gigi Mintrone – Scrittore
Lettera di Chicca
27 dicembre 2022
Ti mando un suono inaspettato.
Stamattina camminavo con un amico. In un tempo quando il tempo sembra non avere senso. Pioggia, pioggia scura, tutto scuro, freddo. Rumore di macchine che passano senza vederti e ti bagnano.
Il mio amico sorrideva. Lui dice che c’è una musica segreta che nasconde note ovunque. Soprattutto dove sembra non esserci niente. «Guarda giù per terra».
Giù per terra c’è una stella. Non so dirti da dove arrivi. Quante notti abbia attraversato e quante albe per scendere fino a qui. Se ti avvicini, la sentirai cantare: «Ci troviamo tutti sotto un cielo che nessuno di noi ha creato. Meraviglioso mistero che ci fa sentire piccoli per diventare immensi».
Chicca Gagliardo, scrittrice
Lettera di Davide
28 dicembre 2022
Caro Simone.
Simone è un mio caro amico, uno tra i miei preferiti, lui mi ha visto da bambino, mi ha visto crescere, ora ho 17 anni. Mi ha visto sbagliare e imparare dai miei errori.
Adesso Simone non mi vede più.
Era una giornata calda quella in cui mi chiamarono dandomi la brutta notizia.
Ero con la mia ragazza, non riuscivo a sorridere, pensavo a come il mio amico avrebbe potuto sorridere ancora dietro quelle sbarre.
Ho deciso che ti chiamerò così, sperando che per te non sia un problema.
Ogni tanto mi chiedo come il mio amico stia, così allo stesso modo mi chiedo ora come stai tu.
La mamma di Simone non sorride più, per lei suo figlio è morto. Mi sento in colpa, non ho potuto aiutarlo, non ero lì in quel momento e probabilmente sono anche causa della sua condanna.
Simone non ha mai avuto un padre, qualcuno che giocasse con lui o gli insegnasse a farsi la barba. Simone non era felice, sapevo che sorrideva per far star bene me, ha sempre avuto un cuore d’oro. Mi ha insegnato molto, mi ha insegnato tutto, per questo spero che ora possa imparare qualcosa da se stesso.
Spesso ho paura di non riconoscerlo, ho paura che quando uscirà non si ricorderà più di me. Magari ne uscirà più maturo, migliorato, anche se non ho mai avuto tanta fiducia nel sistema carcerario italiano.
Lo stesso spero valga anche per te. Penso che il primo passo verso la rieducazione sia essere coscienti del motivo per cui si sta scontando la pena e lavorare ogni giorno mossi dalla voglia di non commettere più gli stessi errori.
Se hai letto o ascoltato fino a qui, voglio ringraziarti.
Spero che il legame tra me e Simone possa ricordarti le persone che ti vogliono bene e ti aspettano a casa.
Davide
Lettera di Elena
29 dicembre 2022
Caro Amico,
ti scrivo per raccontarti che da alcuni anni ho imparato che la vita va avanti, nonostante si cada, riusciamo sempre a rialzarci più forti e consapevoli. Sembra una frase fatta, ma invece è la realtà in cui mi imbatto ogni giorno, grazie al lavoro che faccio.
Sono molto fortunata, perché da 6 anni ho trasformato una delle mie passioni in lavoro: quello che faccio mi piace tantissimo.
Lavoro per una Cooperativa Sociale e mi occupo di promuovere progetti di volontariato principalmente all’estero. Quello che faccio nel concreto è accompagnare gruppi di giovani a fare esperienze di volontariato.
Finalmente, dopo 2 anni di pandemia, sono ritornata a viaggiare con i ragazzi: gruppi di adolescenti italiani che accompagno all’estero. Ebbene sì, può suonare strano, ma questo è il mio lavoro: creo progetti di volontariato e viaggi etici, rivolti principalmente ai giovani e viaggio con loro, cercando di guardare il mondo attraverso i loro occhi, facendomi così stupire ogni volta da qualcosa di nuovo.
Sono loro, i giovani, che mi insegnano quanto sia importante andare avanti, rialzarsi, perché è con loro che io trascorro la maggior parte del mio tempo.
Non sono madre, ma mi sento genitore di ognuno di loro quando trascorriamo del tempo insieme, quando ascolto le lore domande, quando li guardo affrontare nuove avventure in terre a loro sconosciute, dove devono mettersi in gioco, utilizzando l’inglese, piuttosto che lo spagnolo o il francese.
Caro amico, vedere la gioia negli occhi di questi ragazzi, che sono tornati a rimettere il naso fuori di casa dopo questi 2 anni di pandemia è meraviglioso. Onestamente, mi capita spesso di sentire le persone parlare male delle nuove generazioni, ma io non riesco a vedere niente di brutto in questi giovani futuri adulti.
A breve partirò per il Kosovo, una terra che porta ancora i segni della guerra del 1999.
Sai, lì ho lasciato un pezzetto di cuore l’estate passata, quando ho accompagnato un gruppo a far volontariato presso una casa-famiglia, sulle colline di Klina, una cittadina a 2 ore dalla capitale. In questa struttura vive un gruppo di adolescenti orfani o che sono stati allontanati dalle loro famiglie di origine. Sono una quindicina di ragazzi, dai 13 ai 17 anni, sono giovani pieni di energie, che si amano e che si odiano, come fratelli, ma che sono in grado di lasciare il passato alle spalle e apprezzare quanto il presente gli regala.
La loro energia, la loro gioia, la loro rabbia che spesso esce quando giochiamo insieme a calcio, mi ha fatto innamorare di loro. Sono per me un grande esempio di forza.
Da quel viaggio sono tornata talmente tanto arricchita, che ho deciso di ritornare e di riaccompagnare un nuovo gruppo durante le vacanze di Natale.
Caro amico, volevo dirti che in questo viaggio ci sarai anche tu, come tutti gli amici che porto sempre nel cuore.
Con affetto
Elena
Lettera di Daniela
30 dicembre 2022
Ciao, noi non ci conosciamo, ma grande e forte è la gioia con la quale ti scrivo e ti racconto una parte della mia vita, forse la parte più dolorosa, ma anche la più importante, perché mi ha portato a vedere il mondo in modo diverso.
È proprio vero che alle volte le cose avvengono in modo inaspettato
Oggi ho 48 anni e fino a venticinque anni la mia vita era suddivisa, prevalentemente, negli spazi che dedicavo allo studio, a lunghe letture e poi al piacere di correre, nuotare ed uscire con gli amici.
Era il 2000, finalmente era arrivata l’estate, mi mancavano pochi esami per poter poi discutere la tesi e laurearmi in critica letteraria. Avevamo deciso, con mio fratello ed amici, di partire per il mare.
Mancavano ancora dieci giorni alla partenza ed eravamo usciti per andare a comprare le ultime cose. Eravamo sulla strada, un nostro amico portava la macchina, io gli ero accanto e mio fratello dietro con una nostra amica.
Un camion non ha rispettato lo stop, la botta è stata fortissima: io non vedevo, non sentivo più nulla, mi ero persa in un mondo in cui tutto era buio e silenzio.
Mi hanno poi raccontato che erano trascorsi più o meno venti giorni, prima che nel mio viso ricomparissero piccoli segnali di vita attiva.
Forse è quello il momento nel quale ho ripreso a sentire, sentire voci distanti. Non lo sapevo, ma ero certa ci fossero mia mamma e mio papà.
Per venticinque giorni sono stata in coma.
I medici, ho saputo poi, i primi 15 giorni sono rimasti in silenzio perché timorosi che sarei rimasta in stato vegetativo.
Il mio risveglio è avvenuto lentamente.
Tutto era cambiato per me, non riuscivo più a muovere la testa, non si teneva dritta, il braccio destro era paralizzato, appena mi mettevano seduta mi saltavano entrambe le gambe con scatti improvvisi e continui, parlavo ma non riuscivo a farmi capire.
La mia vita era cambiata.
Le difficoltà presenti nella vita quotidiana si sono rivelate essere molteplici, lo sguardo delle persone era ed è tutt’ora sempre diverso. Alcuni mi dicevano: “ come ti sei ridotta”, “prima eri così bella”. In me oscillavo fra grandi arrabbiature e profonde tristezze.
Ho dovuto fare due anni di logopedia per ricominciare, nella parola, a farmi capire e tutt’ora in alcuni momenti sono in difficoltà nell’esprimermi, pertanto ho imparato a sostituire le parole ed utilizzare altri termini quando non riesco a trovare quelli che, inizialmente, volevo.
Il tempo è andato avanti e, che io lo voglia o meno, sono viva, e le difficoltà e le tristezze sono ormai parte di me.
Sono riuscita a laurearmi in Lettere, a superare l’esame per portare nuovamente la macchina ora che sono disabile, ad andare in una cooperativa per disabili a lavorare.
Sai credo che tutte le situazioni possano essere, per quanto grande è il dolore o la tristezza che ci colpisce, un insegnamento.
Io ho impiegato otto anni per accettare il cambiamento, ed ora cammino non vergognandomi più della mia lentezza, del mio bastone, del braccio che non mi si muove.
La mia spasticità con il tremare delle gambe e del braccio che mi sale alle stelle e, non riesco e non posso controllare, si accentua dinanzi a sentimenti di emozione o di rabbia.
Come sarei stata se questo incidente non mi fosse capitato non lo so, ma cerco ora di essere orgogliosa di me stessa.
Questa è la mia storia e mi auguro che in qualche modo possa essere utile per te.
Siamo alle porte del Santo Natale e ti mando un caro abbraccio e tanti auguri.
Daniela
Lettera di Paolo
1 gennaio 2023
Caro-Cara,
non ho la minima idea di chi Lei sia, di quali siano le vicende che l’hanno portata dov’è adesso, di quali siano le sue prospettive per il futuro. La sola cosa che posso condividere con Lei in questo momento sono alcuni pensieri.
Il primo: che tutti noi abbiamo commesso e commettiamo errori.
Molto spesso, io credo, sbagliamo senza capire davvero quello che stiamo facendo, creiamo dolore senza misurare le conseguenze dei nostri gesti.
Qualcosa come una lacerazione nella nostra anima, e magari nella nostra carne, ci porta irresistibilmente a creare altre lacerazioni nel tessuto fragile della vita.
Diventare consapevoli di questa relativa inconsapevolezza, di questa parte d’ombra che ricopre il nostro cammino nell’esistenza impedendoci di capire veramente le nostre azioni, o permettendoci di capirle solo in parte ma dopo che le abbiamo commesse, non significa affatto cercare degli alibi per le nostre colpe.
C’è davvero un mistero del male che ci sfiora e ci tenta senza che sappiamo riconoscerlo in tempo.
Questo mistero non riesce a intaccare il nucleo più profondo e più vero, il fondo luminoso del nostro essere. Questo nucleo, questo fondo è stato meravigliosamente messo a fuoco da uno dei più grandi poeti italiani del ‘900, Sandro Penna, quando ha scritto: “Ognuno è nel suo cuore un immortale”.
Cosa ci dice questo bellissimo verso se non che, malgrado i nostri limiti, i nostri errori e le nostre miserie, c’è una parte irriducibile d’innocenza, di grazia, di grandezza dentro ciascuno di noi?
I maestri zen ci dicono che la fonte prima dei nostri errori è il non sapere, o l’aver dimenticato, che ognuno di noi è un Buddha. Riscoprire la parte di “buddhità”, cioè il nucleo divino del nostro essere, è un compito che riguarda tutti, chi è in un luogo di detenzione come chi cammina per le vie del mondo, chi gode di un corpo giovane e sano come chi è condannato a un letto d’ospedale, chi vive tra gli agi come chi deve fare i conti con la povertà. Scoprire e riscoprire la parte di grazia, di miracolo, di leggerezza, di gratuità, d’innocenza annidata, anche quando non ne siamo consapevoli, nel fondo del nostro cuore, potrà sempre aiutarci a capire che il senso dell’esistenza non si esaurisce negli errori che commettiamo. Se sappiamo vederlo e prenderlo con attenzione e delicatezza tra le mani, il seme divino sepolto in noi riporterà sempre, prima o poi, i nostri passi verso l’albero della vita che non muore.
In questi giorni l’albero sta riapparendo nelle case, nelle vie delle città e un po’ ovunque in forma simbolica, ma spero che nessuno di noi sprechi l’occasione per capire che il Natale è molto più d’un simbolo.
Con tutti gli auguri e un abbraccio da
Paolo Lagazzi, scrittore e critico letterario
Lettera di Roberta
2 gennaio 2023
Mi chiamo Roberta, ho 34 anni, vivo in Sicilia.
Sono una persona determinata, espansiva, empatica, affettuosa. Spesso nella mia vita mi sono trovata a dover affrontare grandi sofferenze che mi hanno letteralmente schiacciata.
Un giorno di 6 anni fa, presa da una grande sofferenza ho percepito che la mia vita mi stava sfuggendo di mano. Mi sentivo impotente, non riuscivo più a rimettere la mia vita nel binario giusto.
Fu allora che conobbi il buddismo. Me ne parlò una mia amica, mi parlò del buddismo di nichiren dashonin, un buddismo giapponese che non è come quello tradizionale, tibetano, con i monaci e l’ascetismo.
Questo buddismo parte dal presupposto che ogni essere umano è un budda, ovvero un essere perfettamente dotato che dentro di sé ha un potenziale infinito, che purtroppo spesso non si manifesta e questo a causa delle energie negative che ci fanno scivolare sui cattivi sentieri e ci fanno commettere brutte azioni.
Tuttavia, ognuno di noi può manifestare, così com’è in qualsiasi posto si trovi, la gioia infinita che viene da dentro.
Tornando alla mia esperienza, la mia amica mi fece recitare un mantra “Nam myoho renge kyo” che significa “dedico la mia vita alla legge di causa ed effetto”. La legge di causa ed effetto è la legge mistica che permea tutti i fenomeni dell’universo (il giorno e la notte, le stagioni, il ciclo della vita ecc…) e funziona anche per il mondo interiore. Grazie alla pratica, quindi, si può “col proprio dentro” cambiare l’ambiente fuori di te. Mettere dentro di sé una causa positiva produce un effetto positivo anche fuori.
Iniziai così a recitare questo mantra, nam myoho renge kyo, davanti ad un oggetto di culto, chiamato gohonzon (una pergamena con degli ideogrammi giapponesi) che rappresenta una sorta di “specchio”, in quanto in essa ci sono rappresentate tutte le funzioni della vita, positive e negative. Cinque minuti di recitazione del mantra e mi sentivo diversa. Mi sentivo, nonostante l’enorme sofferenza, allineata con l’universo.
Continuai a praticare fino a quando non ricevetti anche io il gohozon e, ancora oggi, continuo il mio percorso. La cosa bella di questa religione è che non preghi nessun essere trascendentale, nessuna divinità, nessun essere al di fuori di te stesso. La tua preghiera è autodiretta, rivolta a te stesso, per migliorare, per cambiare e per fare quella che noi buddisti definiamo “rivoluzione umana”.
Da quel momento la mia vita è molto cambiata, ho cambiato e realizzato molte cose, ho scoperto cose di me che nemmeno immaginavo esistessero, ho mutato la mia prospettiva rispetto alle cose. Questo non vuol dire non incontrare sofferenza, anzi, con la fede buddista ogni difficoltà diventa un’occasione per fare un’esperienza, per crescere.
La cosa più bella che mi ha insegnato questo buddismo è la gratitudine. Spesso e volentieri siamo grati solo agli aspetti belli della nostra vita.
Ebbene, il buddismo mi ha insegnato ad essere grata anche alla sofferenza perché quella sofferenza, quel dolore, mi ha permesso di avanzare come essere umano, di capire perché certe cose capitano proprio a me e non ad un altro.
Essere grati alla sofferenza serve ad accettare, ad abbracciare, a volersi bene.
Oggi, mentre scrivo questa lettera, mi trovo in una situazione molto difficile da affrontare (ancora una volta una grande sofferenza) eppure, nonostante ciò, sono serena e grata per quello che la vita mi offre e non ho alcun dubbio che, anche questa volta, io vincerò. Nessuna preghiera rimarrà mai senza risposta.
Pregherò per la tua buona fortuna.
Roberta
Lettera di Lucrezia
3 gennaio 2023
Ciao, voglio raccontarti di una pianta.
L’ho trovata l’anno scorso, al termine delle feste natalizie, giù al portone. Un vaso rinsecchito, con degli steli e quattro foglie mezze morte.
Una Stella di Natale, “scaduta”. Finita la festa, buttata via. Qualcuno lo fa anche con le persone.
L’ho guardata per tre giorni, quando uscivo. C’era il sole. “Appassirà”, pensavo, “ma non è il destino di tutte le Stelle di Natale?”…
No. Non potevo lasciarla lì. L’ho presa.
Le ho tolto le foglie morte. Le ho dato un po’ d’acqua. L’ho tenuta dentro casa.
Tutti mi hanno sconsigliato. “Sì, magari metterà le foglie, ma ormai è l’ombra di sé stessa…”…
No. È viva.
Foglia dopo foglia, si è irrobustita. D’estate, l’ho messa fuori al balcone. Il sole, l’aria, il nutrimento…Di nuovo, viva. E l’ho lasciata fuori al balcone. E lei è cresciuta.
Delle Stelle di Natale si dice che a settembre bisogna metterle dentro, in un luogo buio, con un sacco nero addosso, e tenerle così dalle 17 del pomeriggio fino al mattino, altrimenti le foglie rosse non vengono fuori. Una tortura, povera pianta.
No. Non è vero che bisogna fare così. E lo posso dire e dimostrare: lei è capace di fare da sola.
Un giorno all’improvviso è diventata rossa una foglia, poi due, poi tre…tante. Guarda, eccola.
Il segreto è l’amore. Chi è amato, fiorisce.
Non dare retta a chi dice che sei finito, e, dati alla mano, te lo dimostra. Nessuno ha diritto di buttarti via. Tu non devi buttarti via.
Sei un essere unico e meraviglioso, perché come tale sei stato creato da qualcuno che ti ha a cuore più di ogni altro.
C’è ancora amore per te, e ce ne sarà sempre.
Fiorisci.
Lucrezia
Lettera di Angela
4 gennaio 2023
Ciao a te,
sono una ragazza di 17 anni che vive vicino Bari e frequento il Liceo.
Ho deciso di cogliere al volo questa opportunità perché l’idea che io possa confortare qualcuno con questa lettera mi fa stare bene, pensare che in un altro luogo del pianeta ci sia qualcuno che sta leggendo ciò che ho da dire.
Non so chi tu sia e probabilmente non lo saprò mai, ma volevo scriverti per farti capire che non sei solo.
Ho sempre pensato che la realtà carceraria sia completamente contrapposta alla nostra quotidianità, ma ho scoperto che ci sono dinamiche simili.
Il mio sogno sarebbe fare l’avvocato penale o il giudice, è da quando faccio il secondo superiore che esprimo questo desiderio perché vorrei aiutare tutte quelle persone che sono in difficoltà.
Ho una bella parlantina e ho vissuto due anni di inferno accanto ad un uomo che mi trattava come uno zerbino e penso che i diritti di una donna, di un uomo, in generale di qualsiasi essere vivente, debbano valere sempre e comunque, indipendentemente dalla persona che c’è dall’altra parte.
So che potete accedere a numerose attività e che potete fare di quelle attività la motivazione per vivere. Ti chiedo questo: non arrenderti mai e quando pensi che sia ormai finita, fermati e pensa alle persone che in questo momento ti stanno pensando proprio come me che ora ti sto immaginando in ogni tuo minimo particolare.
Chissà quale storia avrai, chissà cosa penserai leggendo questa lettera, chissà se ti piacerà e se avrò utilizzato le parole giuste. Sono certa però che lì dentro delle parole di incoraggiamento servano per farvi capire che c’è qualcuno a cui interessate, a cui tu, sì proprio tu interessi.
Per me è normale sbagliare, c’è chi sbaglia di più e chi meno, c’è anche chi sbaglia e non lo ammette e sono certa che tu che ora sei lì hai affrontato il tuo passato.
Concentrati sul tuo presente, su ciò che ami fare.
Credo in te. Sai a volte anche io ho bisogno di sentirmi dire queste parole, di conforto, ma qui sono tutti troppo occupati con i loro affari, il denaro, i beni materiali, il lavoro.
So che lì avete così tanto tempo per conoscere voi stessi che a volte non riuscite più a sopportare il peso dei pensieri, ma d’altra parte capite davvero l’essenziale della vita.
Libertà, persone che ami, tempo, non ritorneranno indietro e io spero che tu possa riavere tutto ciò di nuovo. Te lo auguro davvero.
Spero che qualsiasi cosa tu abbia commesso e qualsiasi pena tu stia scontando passi velocemente per far sì che tu viva la vita appieno, senza limiti.
Anche se non ti conosco, ti voglio bene, ti auguro un buon Natale. 2023
Angela
Lettera di Tony
5 gennaio 2023
Ciao anima imprigionata,
ti scrivo questa lettera da un posto che profuma di libertà: il mare.
Per tanti anni mi sono negato al mare, perché non potevo viverlo. Oggi invece, vengo qui quando la vita mi soffoca il cuore ed ho bisogno di farlo tornare a respirare. Sarà che nella vita ho imparato ad apprezzare le piccole cose: un timido raggio di sole, un fiato di vento, l’odore del mare, per sentirmi libero.
Vado verso i miei quarant’anni e per almeno i primi venti, mi sono sentito prigioniero di me stesso. Del mio corpo. Sono nato recluso.
Si può nascere reclusi? Si, quando sei un uomo transgender.
Ed è per questo che ho passato gli anni dell’adolescenza, prigioniero nella mia stanza.
Perché quando i pregiudizi di quelle stesse persone che dovrebbero proteggerti, ti masticano la vita, ti ritrovi inghiottito tra le quattro mura della tua stanza, che mi ha rubato il tempo, lasciandomi in cambio una cicatrice sul polso.
Mi hanno salvato i sogni e la voce di mia madre che in un pomeriggio d’estate, mi sorprese in piedi su una sedia, intento a sistemarmi una corda al collo.
Negli anni successivi ho affrontato il mio percorso di transizione, da solo.
Dopo l’ennesima notte d’inferno, un giorno d’estate ho chiamato una psicologa e ho atteso l’autunno per iniziare ad esplorarmi.
In inverno io e mamma abbiamo pianto, ma in due stanze diverse, per non doverci guardare.
È arrivata la primavera e attaccato a un foglio su cui era schiacciata tutta la mia vita, mi sono messo in viaggio verso un ospedale.
A estate inoltrata mi sono bucato da solo la pelle, per farci entrare un po’ di speranza e ho aspettato ancora, per vedere la mia barba crescere ed il mio corpo cambiare.
Oggi sono un uomo libero, che cerca di fare buon uso delle parole, consapevole che le stesse possano salvare ma anche uccidere.
Ed è per questo che ho accettato questa chiamata alle parole, per salvare un frammento della tua anima imprigionata, donandoti un po’ della mia vita.
Con speranza, Tony
Lettera di Adriana
6 gennaio 2023
Ciao, sono Adriana.
Grazie per questa bellissima opportunità d’amore e di empatia.
Voglio pensare che questa mia lettera possa essere un piccolo spiraglio di luce capace di accarezzare quelle corde dell’anima rimaste libere di volare alto, di fare un giro sopra i tetti e planare in un angolo, restituendo quella scintilla di libertà che sta nelle piccole cose.
Per me sono la musica e la scrittura.
Sono una cantautrice e amo ritagliare un momento durante la giornata che possa farmi tornare dentro me stessa, perché spesso la routine può diventare una gabbia anche se sei libera, sempre di corsa dietro alle responsabilità e alle scadenze che a volte si impossessano tuo tempo, e fanno perdere un po’ il senso.
La poesia mi dà quello sguardo dall’alto, quella distanza necessaria per sentirmi nuovamente in armonia. Riesce a bucare le resistenze e a giungere dritta.
Vi voglio dedicare una poesia oggi.
Mi piacerebbe chiedere ad ognuno e ad ognuna di voi le vostre ” parole chiave ” e scriverci sopra.
È nato un libro grazie a questo esercizio/rituale, una piccola guida da sgranare ogni giorno per salvare un po’ di bellezza e salvaguardarla dai rumori del mondo.
Provo a immaginare le vostre parole chiave e ci scrivo su, cercando di immedesimarmi, perché io e voi non siamo poi così diversi.
Se ci ascoltiamo dal profondo, forse possiamo imparare dagli sbagli e riappacificarci con noi stessi, con tutte le cicatrici che ci portiamo addosso. E abbandonare il pregiudizio incontrando davvero l’altro, abbattendo ogni barriera che ci tiene lontani, ognuno nelle proprie gabbie o tane.
Parole chiave
Libertà
Solitudine
Abbracci
Rabbia
Mura
Mare
Vorrei sentire il rumore del mare
vorrei mi attraversasse il cuore
e buttasse giù quelle mura
che tengono fuori la vita e l’amore
Vorrei che la mia solitudine
non fosse intrisa di rabbia
Vorrei non dimenticare la libertà
Vorrei reimparare
e ritrovare gli anni perduti
Vorrei decidere di stare chiusa nella
mia stanza e isolarmi da tutto
e poi uscire fuori
e gridare al mondo che esisto
Vorrei avere un altra possibilità
non agire d’istinto
e perdermi in un labirinto
Vorrei poter dare più abbracci
chiedere scusa per gli errori commessi
e ritrovare pian piano tutti i sogni interrotti
E come un sottomarino
vorrei tornare in superficie
vedere la luce
sentire il sole che secca le ferite
essere libero da tutte le accuse
Avere una casa
il caminetto acceso
annusare l’odore di legna
mettere sulle gambe una coperta
e capire che sono le piccole cose
che danno la libertà
e che l’amore le governa.
Vorrei donare al mondo
un’ immagine nuova
un po’ come il giorno
che redime le sue colpe
ad ogni aurora
Adriana Polo