Dopo il blocco di ogni attività didattica e rieducativa, dopo le limitazioni disumane imposte ai detenuti a seguito dell’allarme coronavirus, dopo l’ondata di rivolte che ha toccato – oltre 50 gli istituti di pena coinvolti – le carceri italiane… Ora la parola passa a loro. E quel che è più grave è che nessuno, proprio nessuno di noi come società esterna – preoccupati, anche noi, della minaccia della pandemia, ma non al punto di gettare il nostro sguardo proprio là dentro, nelle carceri, dove tutti i giorni si misura la “febbre” dei nostri diritti riconociuti/negati – gliel’abbia data quella parola per dare voce anche a loro, che autodefinendosi “gli ultimi” della società, la “discarica umana”, rivolgono questo appello accorato alle istituzioni e a papa Francesco. Una voce da dentro, e tuttavia fuori le righe, da cui forse avremmo qualcosa da imparare… Perlomeno, un domani, quando le tempesta sarà passata e allora dovremmo guardarci indietro e pensare a quello ci siamo lasciati alle spalle o che, semplicemente, non abbiamo voluto vedere.
lettera aperta dei detenuti del carcere di Padova e delle detenute di Venezia
Alla Cortese Attenzione
Presidente della Repubblica
Italiana
Dott. Mattarella Sergio
Sua Santità
Papa Francesco
Presidente del Consiglio
Prof. Giuseppe Conte
e per conoscenza:
Ministro della Giustizia
On. Alfonso Bonafede
Ministro della Salute
On. Roberto Speranza
Presidente del Tribunale di
Sorveglianza
Dott.ssa Linda Arata
Presidente della Regione Veneto
Dott. Luca Zaia
Vescovo di Padova
Mons. Claudio Cipolla
Direttore Generale ULSS 6 Euganea
Dott. Domenico Scibetta
Garante nazionale dei diritti
delle persone detenute o
private della libertà personale
Prof. Mauro Palma
Direttore de La Repubblica
Dott. Carlo Verdelli
Direttore del Gazzettino
Dott. Roberto Papetti
Come tutto il mondo esterno, anche noi detenuti siamo molto preoccupati da
questo CORONAVIRUS ora classificato come pandemia, che coinvolge tutti senza
distinzione alcuna e che sta cambiando inevitabilmente la vita di tutti.
Come è naturale che sia, anche noi tra gli “ultimi” della società siamo angosciati
per i nostri cari che sono al di fuori di queste mura, come loro lo sono per noi. Le
condizioni in cui ci troviamo a vivere sono difficili, in alcuni casi impossibili.
Qualcuno potrebbe dire che nel Veneto tutto sommato la situazione non è delle
peggiori (ma vi assicuriamo che è la guerra dei poveri), come pure qualcuno
potrebbe dire che il carcere ce lo siamo meritato. Per la stragrande maggioranza
è vero, ma ci siamo meritati una pena non una tortura. Ci dovrebbe essere tolta
la libertà, non la dignità, il diritto alla salute, il diritto a vivere. Le restrizioni
imposte le rispettiamo ma non le condividiamo del tutto.

Ad esempio alcune misure attuate in virtù dell’emergenza, atte al contenimento del virus, come la sospensione dei colloqui con i famigliari, le attività dei volontari e delle
associazioni, i permessi premio e le attività degli uffici di sorveglianza. Facciamo
fatica, signor Presidente e sua Santità, a capire la bontà di queste scelte.
Vorremmo si capisse la drammaticità di questa scelta per noi. Una visita anche
un’ora alla settimana, una parola di conforto di un volontario, un’attività anche
se saltuaria, sono piccole cose che ci tengono in vita. Forse tanto malessere non
si sarebbe manifestato con violenza se fossero state comunicate ai detenuti le
disposizioni tenendo conto del dolore che avrebbero provocato e dando subito
in contemporanea la possibilità di telefonare tutti i giorni e di avere colloqui
skype più frequenti.
Molti di noi, che hanno avuto la fortuna di avere un lavoro grazie a molte
cooperative e aziende, ancor oggi (anche se non tutti) continuano a scendere al
lavoro, ma il 98% dei detenuti in Italia non hanno questa fortuna. Noi del 2% ci
permettiamo di rivolgere questo accorato appello. Appello che rivolgiamo per
tutti noi persone detenute in Italia (presto questo problema lo vivranno anche
negli altri Paesi Europei e nel Mondo), ma ci permettiamo di rivolgerlo anche per
tutto il personale dell’Amministrazione penitenziaria, agenti in primis. Noi oggi
dobbiamo lottare tutti uniti contro la stessa cosa e non contro di noi. Qui non
vale più il gioco di guardie e ladri! Qui in gioco c’è la vita di ciascuno di noi. Il
“merito” che può avere questo “maledetto virus” è da una parte quello, volenti o
nolenti, di metterci tutti sullo stesso piano, perché tutti abbiamo bisogno l’uno
dell’altro e della collaborazione vicendevole, dall’altra di imporci una seria
riflessione, una vera domanda sul senso della vita, della Vita di ciascuno di noi,
anche del più derelitto. Ecco perché serviva da subito, ma non è mai troppo
tardi, un’attenzione più umana tanto nei confronti di noi 61.000 detenuti e delle
nostre famiglie, quanto per le circa 45.000 persone, e relative famiglie,
impegnate nella gestione delle 189 carceri.
Una più larga, completa, umana e professionale misura sarebbe stata certamente
più efficace ma soprattutto compresa e ben accetta.
Inutile ricordare che le condizioni carcerarie, il sovraffollamento e tutto ciò che
ne concerne non permettono di rispettare anche le regole più basilari che ci
vengono indicate dai mezzi di informazione a tutte le ore.
Con questa nostra missiva, altresì, vogliamo esprimere la nostra vicinanza, a
tutte quelle categorie che nonostante tutto e con tutte le difficoltà del caso
continuano a garantire assistenza, cure, sicurezza e controllo.
Vogliamo ringraziare tutti i volontari, la loro assenza ci ha fatto capire quanto
preziosi sono e a volte quanto male li trattiamo. Vogliamo ringraziare in modo
particolare i nostri angeli della Sanità: ai medici e agli infermieri va un simbolico
ma sincero grande abbraccio e un elogio rivolto alla professionalità ed umanità
che li contraddistinguono. Guardiamo alla loro testimonianza con grande
commozione. Sentiamo inoltre il bisogno di sentirci vicini a tutte quelle famiglie
che hanno perso delle persone care, noi qui in carcere sappiamo benissimo che
cosa voglia dire perdere una persona cara (madre, padre, moglie, figli, fratelli…)
senza potergli essere accanto e per molti di noi anche senza potersi recare al
funerale.
In tutte le carceri in modo diverso tutti cerchiamo di aiutare come possiamo.
Due esempi per tutti. Dal carcere di Venezia le detenute dopo un’assemblea
hanno scritto una lettera per far sentire la loro voce in segno di solidarietà,
comunicando che hanno raccolto 1 euro a detenuta per il Reparto di terapia
intensiva dell’ospedale dell’Angelo di Mestre (in 70 hanno raccolto 110,00 euro).
Alla Casa di reclusione di Padova tra le tante attività una in particolare riguarda
proprio il mondo della sanità. Il gruppo di lavoro, nonostante le difficoltà, la
paura e la preoccupazione, continua nel suo piccolo a fornire il servizio “CUP”,
centro unico prenotazioni per l’ospedale di Padova (Asl 6/7/5) ed un servizio
per l’Ospedale di Mestre. Non potete immaginare che cosa voglia dire poter dare
il nostro contributo in un momento come questo, ci fa sentire vivi!
Non cerchiamo lodi o ringraziamenti, ma siamo fieri e orgogliosi del piccolo
contributo che proviamo con pazienza e dedizione a offrire a persone bisognose
e vulnerabili come mai in questo momento.
Le nostre famiglie sono molte preoccupate per noi, cosi come noi per loro. Gli
Istituti di pena, non sono immuni dal pericolo, anzi sono particolarmente
vulnerabili considerate le condizioni in cui versano. Ci chiediamo a questo
proposito come verrebbe affrontata una diffusione dello stesso negli Istituti in
caso di contagio, considerati il sovraffollamento e le stesse strutture che non
permettono le essenziali norme di sicurezza. Ci preoccupa non poco la circolare
che ha emesso il capo del DAP: il personale della Polizia Penitenziaria che svolge
le sue funzioni presso le carceri deve continuare a prestare servizio anche nel caso
in cui abbia avuto contatti con persone contagiate o che si sospetti siano state
contagiate, in quanto “operatori pubblici essenziali”, e nell’ottica di “garantire
nell’ambito del contesto emergenziale, l’operatività delle attività degli istituti
penitenziari” e quindi di “salvaguardare l’ordine e la sicurezza pubblica
collettiva”. Ci sembra una provocazione di cattivo gusto!
Tra di noi ci sono tantissimi soggetti con gravi patologie come diabetici,
cardiopatici, invalidi, persone con problemi respiratori specialmente anziani,
nonché tantissimi tossicodipendenti, persone con serie depressioni e patologie
psichiatriche, permetteteci di dirlo, una discarica umana.
Noi tutti con molta responsabilità vogliamo lanciare allo stesso tempo un grido
di aiuto ma anche un invito a provvedimenti atti al contenimento del virus
all’interno delle carceri e al problema del sovraffollamento, perché connessi fra
loro.
Pur essendo fiduciosi nelle istituzioni che stanno affrontando un’emergenza
unica nel suo genere, vorremmo richiamare l’attenzione anche su di noi e
vorremmo ricordare che esistono gli strumenti e le norme già contemplate dal
nostro sistema giuridico. Malgrado l’esigua applicazione, basterebbero da sole a
risolvere gran parte dei problemi.
Vorremmo ricordarLe, Signor Presidente della Repubblica, che le istituzioni
tutte hanno la responsabilità e il dovere di tutelare anche le fasce più deboli e
indifese della società.
Al “nostro” Papa Francesco diciamo grazie e non ti preoccupare se i potenti non
ti ascoltano o ti ascoltano poco, noi ti vogliamo bene.
In questo momento particolare, in cui siamo un po’ tutti più uguali, siamo molto
fiduciosi che questo nostro grido di aiuto non cadrà nel vuoto. Ci dispiacerebbe
se fosse l’ennesima occasione persa.
I DETENUTI della Casa di Reclusione Due Palazzi di PADOVA
(Cooperativa sociale Giotto-Cooperativa sociale Altra Città)
Le DETENUTE della Casa di Reclusione della Giudecca di VENEZIA
(Cooperativa sociale Rio Terà dei Pensieri-Cooperativa sociale Il Cerchio)
La lettera è stata trasmessa, tramite le cooperative ed aziende, anche nelle altre
carceri del Veneto. Le comunicazioni non sono semplici, man mano che altri
detenuti aderiranno sarà nostra cura comunicarle.